Cesare Balbo: differenze tra le versioni

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+incipit
ortografia
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===''Novelle''===
====''Francesca''====
In una villa dove già vissi alcuni anni, fu da maestro di scuola un prete molto buono e sociabile; del quale, come aveva detto messa e finita la scuola o l'ufficio, e se occorreva qualche confessione, ogni sollazzo era alla state ir a diporto su per que' colli, od a sonar gli organi e i gravicembali ne' castelli all'intorno; e il verno poi entrar nelle case de' signorotti e de' villani di quel contado, ed ivi, come si dice, fare stalla, che tant'è come in città far conversazione. E perchèperché virtuoso e pio e pacifico uomo egli era, ogni suo conversare tendeva a ispirare pace e pietà. Ond'egli poi solea con gli altri preti suoi amici darsi vanto di non far altro là, che continovar lo insegnamento della dottrina cristiana incominciato alla scuola e spiegarla con gli esempi, che fanno più impressione, ma che non tutti starebbero bene in chiesa. — E veramente, egli aggiugnea sorridendo, anche queste vecchierelle usano così, e volendo dar insegnamenti alle giovani, subito vengono agli esempi; ma questa differenza è tra esse e me, che elle li scelgono presso le vicine e contemporanee, io sempre li cerco in tempi antichi e luoghi sconosciuti. Nè so se nel modo loro sia più efficacia, ma nel mio certo è più carità.
 
====''Toniotto e Maria''====
«E voi qual è il parer vostro?» disse uno de' più giovani della brigata rivolgendosi al maestro. «Io?» rispose, «io non parlo mai di politica. Le donne e i preti ne sono dispensati; ed io non voglio lasciar perdere il privilegio, che mi par grandissimo.» «Tuttavia...» riprese il giovane. Ma un altro alzò la voce, e poi un altro, e molti insieme, e in breve la disputa diventò caldissima, finchèfinché tra 'l chiasso e la confusione si udì uno dire: «Almeno al tempo de' Francesi...» «Al tempo de' Francesi,» interruppe allora agitato oltre al solito il maestro, «al tempo de' Francesi eravi la coscrizione.» «E v'è anche adesso,» dissero due o tre. «Al tempo de' Francesi,» riprese il maestro, e lo ripetè la quarta volta, «al tempo de' Francesi v'era la coscrizione, che era tutt'altro vedersi strappar figli, sposi e fratelli dalle braccia, legati come animali immondi, per andare mille miglia lontano a un macello.... che era un macello almen per noi, cui non importava, nè doveva importar nulla di quelle guerre. E quelli che le hanno fatte non son quelli che ne abbian forse patito più; ma quelli che vi hanno perduto, così senza pro nè consolazione di proprio principe o propria patria, quanto essi amavano. BenchèBenché ed anche di quelli che vi hanno forse preso gusto, quanti l'hanno crudelmente pagato poi?» E qui si fermava, e parea pure voler dir altro. E perchèperché era ben voluto dalla brigata, ed udito volentieri al solito, ed or tanto più, come succede a qualunque si tace durante una lunga disputa, e non parla se non quando egli n'ha il cuor pieno, e l'han votato gli altri; certo tutti si tacevano, e parevano aspettassero ch'ei pur continovasse. Onde egli ricominciando: «Se non credessi di attristar la festa che facciamo, io vi direi quello che dinanzi a me stesso è succeduto; e vi ho avuto parte, che ne porto, e credo ne porterò tutta la mia vita i segni nel cuore. Ma non è novella piacevole di niuna maniera; è storia di poveri contadini, che non la direi a contadini. A voi altri forse servirebbe a mettervi d'accordo su queste dispute; chè in altro modo io non vi voglio entrare.»
 
====''La bella Alda''====
Al tempo d'una delle discese de' Francesi per la ''comba'' di Susa, che qual sia non lo potrai accertare, avvenne, che rimasta a guardare il passo importante delle Chiuse una schiera d'uomini d'arme, questi, secondo il consueto di tutti gli uomini d'arme, invasori antichi e nuovi, e più dei distaccati e lasciati indietro, incominciarono in varii modi a taglieggiare ed opprimere il paese all'intorno. BenchèBenché, essendo alleati del Duca e provveduti da lui d'ogni bisogna; ed avendo ordine da' proprii capi di vivere co' terrazzani come amici; e solendo poi i Francesi, a differenza di altre genti, e ad eccezione di alcuni scellerati che si trovano in tutte, essere ladri solamente per necessità, o tutt'al più per a tempo, e quando, come dicono essi medesimi, l'occasione fa il ladrone; certo i ladronecci erano men frequenti che non sarebbesi temuto; e se n'erano fatti alcuni da qualche mal soldato, e dalla gentaglia dell'esercito, per lo più anche erano da' cavalieri e da' capitani severamente castigati; e la riparazione sborsata o da essi, o dai delinquenti, o tavolta dal Duca. Ma se per soldati erano radi i loro peccati contro il settimo e il decimo comandamento di non pigliare e non desiderar la roba d'altri; tanto più frequenti, forza è pur confessarlo, erano quelli fatti contro il sesto e il nono, di non usurpare e non desiderare la donna altrui. È vizio antico e noto de' Francesi. Noto il famoso macello de' Vespri Siciliani al tempo di Carlo d'Angiò. Carlo VIII ne perdè il regno. A' tempi nostri ne durano vive le memorie, che i posteri cercheranno nelle storie, e forse nell'opuscolo de' Romani in Grecia, nelle belle canzoni milanesi del Porta e del Grossi, e nelle piemontesi del Calvo, e mille altre canzoni, anche troppe; chè gl'Italiani così d'accordo in cantare, ben avrebbero dovuto esserlo più in resistere. Come poi in tutte queste invasioni, così in quella di cui è la nostra istoria, i Francesi, che qualunque sia il merito personale di ciascuno di essi, ognuno se lo porta come in mano, e subito lo fa vedere, e per così dire lo spende e scialacqua in moneta piccola, dovunque arrivassero incominciavano a farsi ben volere; nè eran dimorati due o tre dì in una terra o in una casa che non paressero esservi da gran tempo; ed entravano a parte de' negozi e de' divertimenti domestici, e si facevano come della famiglia; e se non era di quella loro eterna frase del ''chez nous'', che monta a ciò, a casa nostra si fa così, e si fa meglio che da voi; quasi che ognuno di essi sarebbe paruto nato e cresciuto della famiglia e del paese dove era arrivato poc'anzi. Ma che valeva? Tutto ciò era perfidia, e mentre cotestoro parevano aiutare, adulare, compiacere al padrone di casa, non ad altro miravano che alla padrona o alla padroncina, di cui insidiavano la fede e l'amore. Gran vantaggio almeno hanno sopra questi Francesi, e gran preferenza meritano gli altri invasori. I quali mostrandosi subito schiettamente e generosamente quali sono, nè si fanno mai da maschi nè da femmine perfidamente amare, nè ingannano i popoli soggetti, e dal primo all'ultimo giorno con ammirabil costanza, non sono un'ora mai da sè stessi diversi.
 
====''Margherita''====
Ei non ha cosa di che io cerchi più correggere i miei scolari, come delle sciocche paure e superstizioni che quasi tutti mi vengono arrecando dalla casa paterna. Delle quali, ogni volta che io volli chiedere ragione agl'ignoranti genitori, il più sovente trovai che non davano credenza essi medesimi a quelle befane, a quegli uomini, o lupi neri, a quegli spiriti, di che andavano spaventando i paurosi monelli. Ma dicono non potersi educare bambini, nè far loro fare ciò che si vuole, o trattenerli da ciò che non si vuole senza queste paure. Stolta pigrizia di questi, come di molti altri educatori! che studiano diminuire le difficoltà non a' loro fanciulli, ma a sè stessi; e quando loro è chiesta una spiegazione, danno invece una bugia; e invece d'una correzione una bussa o una paura. Molte di queste poi, principalmente se il luogo aiuti colla spaventosa apparenza, rimangono anche negli adulti, e passano d'una in altra generazione, asserite finalmente come cose vere, e credute ab antico. Tuttavia, perchèperché uso andar cercando quel po' di bene che si trova quasi sempre anche nel male, credo che di quella non mal intenzionata origine delle superstizioni popolari venga che quasi tutte hanno in sè qualche insegnamento virtuoso; ed alle novelle di esse rimane siffatto vantaggio sopra molte di quelle immaginate dagl'ingegni più colti, ma più corrotti.
 
====''Imilda''====
Tornando io già una sera in sull'imbrunire alla mia terra da alcuni casolari dove avevo a balia un mio bimbo, vennemi incontrato il buon maestro, che tornava credo da suonar l'organo di quella pieve, a' piè d'una scoscesa via, anzi quasi un burrone scavato tra due altissime sponde dall'acque. Dove, oscurandosi tra lampi e lampi il cielo a un tratto, e incominciando a cader larghe goccie annunziatrici di temporale, e a scivolare il lubrico terreno, e a non più reggerci i piè, ci sforzavamo pure amendue d'andar innanzi ed arrivare prima che franasser l'acque ad una casupola a mezza costa, solo abitato che sia o si scorga in quella vallea. Quando a dispetto della fatica che si durava incominciò il loquace maestro: «Non vi par questo vero agguato da ladri? Mirate, muro di qua, muro di là, non un'uscita; un uomo ne fermerebbe dieci.» «Sì», diss'io, «ma il maggior pericolo per ora è di cadere tra questi fanghi; nè i ladri sono sì mal accorti da mettere bottega in tal deserto, dove non passano tre lire al giorno; e poi c'è là la casupola che guarda il passo dai ladri, e così ci salvi dall'acque.» «O quanto alla casupola», disse il maestro che appunto per a ciò avea messo il discorso, «sapete voi chi l'abita? Un brav'uomo che n'ha ammazzati tre egli solo in un giorno.» «Come?» diss'io. Ed egli: «Al tempo della sua gioventù ei fu già....» ma non ebbe tempo, chè appunto il padrone della casa, avendoci veduti, era venutoci incontro, e sorreggendo il buon maestro ci faceva entrare nella casupola, dove già donna e fanciulli avevano acceso il fuoco di fuscelli e fogliacce di gran turco, e poi recatoci il vin bianco, che è in quel paese, come il pane e il sale degli antichi, primo e sacro segno di ospitalità. E non era bevuto il primo bicchiere, che il contadino, il quale aveva udito le ultime parole del maestro: «Io credo» disse, «che avevate incominciato a narrare a questo signore il gran fatto della mia gioventù; e perchèperché non è cosa ond'io abbia ad arrossire io stesso la narrerò.» E incominciò ab ovo una lunga storia di certe dispute tra l'arciprete e il sindaco di quel paese, accadute trent'anni addietro, ma così nuove in sua memoria come se fosse stato ieri, e vi si riscaldava sopra come allora; ma intanto il compagno mio che fin da principio dimenavasi sulla sedia, forse per dispetto che gli fosse tolta di bocca la narrazione, ora non potendo più reggere al modo in che era fatta, e meno alle millanterie del bravo: «A che monta tutto ciò? Io dirollo in due parole. Il sindaco e l'arciprete eran due uomini senza cervello, che disputavano su non so che; anzi credo che nol sapessero nemmeno essi, e la prova è che ci voglion tante parole a farlo capire. Avean torto tutti e due; ma più il prete, perchèperché prete. Nimici essi, nimici tutti gli uni con gli altri nel paese; i quali poi aveano tanto più torto, che si facean nimici pe' fatti altrui. Questo qui fece la scioccheria di prender una delle parti, non so nemmeno quale, e non me ne curo; e perchèperché era più giovane e più bravo, e come dicono qui, più ''bullo'' degli altri, egli avea nome, forse senza colpa sua, di capo di parte. Tre de' contrarii lo assalirono un giorno allo uscir di Messa; certo è, essi furono gli assalitori; egli a dar mano a un coltello, e metterne in terra uno; poi a fuggire inseguito dai due, e vedendogli discosti l'un dall'altro, a rivolgersi al più vicino, ucciderlo; ed aspettato il terzo, questo pure uccise.» «Oh», interruppi io, «questo l'è pure un bel fatto, e tal quale come quello...» Ma riprese più forte il maestro: «A che servono comparazioni? Quest'uomo non sa le storie vostre; e se volete parlare di un antico che ammazzò in guerra tre nimici del suo re, la comparazione non istà; perchèperché questi uccise in pace tre sudditi del nostro. Scappò, uscì del paese, fu giudicato contumace; poi, consigliato tornare, tornò e fu assolto come dovea, perchèperché l'avea fatto in propria difesa; e del resto, come vedete, ha moglie e figliuoli, ed è vivuto sempre da galantuomo, e lo è. Ed è tanto più da lodare, che al solito chi mette mano al sangue anche con ragione, continua poi a torto, e diventa facinoroso. Ma ad ogni modo, figliuol mio, l'uccidere, se non fu delitto, è almeno disgrazia; e non si vuol darsene vanto, ma compiangerla, e principalmente dinanzi a questi vostri figliuoli. Che se non avete avuto altro torto, avete avuto quello di mettervi in cose che non toccavano a voi, in vece di vivere in pace con tutti. E queste parti a che conducano ne' paesi grandi come ne' piccoli ve lo voglio dir io; e perchèperché è cosa antica, dirovvi oggi tutti i nomi, che questo signore li potrà andar a riscontrare ne' libri, e dirvi quanto sia vero l'esempio. E venite qua, voi altri fanciulli; che la pioggia fa un chiasso che assorda.
 
====''I due spagnuoli''====
«Narrereteci voi una novella, maestro?» disse una gentildonna che era con noi in una di quelle ultime lunghe sere di novembre, che quando s'ha buona compagnia io le conto per uno de' migliori piaceri della villa. «Narrereteci voi una novella? Io ho lette quell'altre scritte dall'amico nostro che è qui; ma dicono che narrate da voi sieno troppo più piacevoli, ed io, dopo che vi ho conosciuto, volentieri lo credo. Se non che, ei mi pare vi dilettiate soverchio cogli spiriti e colle apparizioni; che io ben vi posso dire non mi danno paura, ma troppo ripetute forse mi darebbero noia. OltrechèOltreché dei tempi antichi abbiamo novelle che ne avanzano; e se molte sono sconce, molte pure sono da leggersi per tutti; e il novellare di quelle cose e que' costumi, è proprio un portar acqua al mare, o chiocciole in Astigiana.» «Signora,» disse il maestro, «io novello a modo mio, come mi viene il destro, di cose vecchie o nuove senza distinzione, e senza intenzione di far novelle nè all'antica nè alla moderna. E certo, dette così come le dico io, nel nostro dialetto piemontese, anzi nel mio tra astigiano e langaruolo, ben credo che elle non possano nè olezzare nè putire mai d'imitazione del Lasca, o di messer Giovanni Boccacci. Che se poi l'amico volendole scrivere, e nol sapendo fare, come pur dovrebbe, nel dialetto in che son dette, le scrive in italiano, egli ci pensi; purchèpurché non le scriva io; chè fuor della scuola io non intingo mai penna in calamaio.» «Non so» disse la gentildonna «chi s'abbia a dir più pigro dei due; o voi, maestro, che avete votato odio alla penna, o voi, amico, che avendo il vizio di tôrla in mano, la usate poi così scioperatamente in baie di questa sorta. E quasi direi che voi siate il peggiore dei due; perchèperché niun uomo ha l'obbligo di scrivere; sì bene, volendo pur iscrivere, di farlo, o tentar di farlo almeno, sopra qualche cosa che serva.» «E' mi pare» diss'io «che voi non v'abbiate il torto; e già me n'ero avvisato da me, che che io dicessi a' miei leggitori sull'utile di passar meco un'ora d'ozio; ond'io mi vo' pur correggere, e più non iscriverò.» «Ecco,» disse la gentildonna, «conclusione a rovescio: io vi diceva, scrivete qualche cosa utile; e voi concludete, non iscriverò.» «PerchèPerché» ripresi io «per iscrivere qualche cosa utile, e' si vuol avere, primo, qualche cosa utile in capo; secondo, scienza di scriverla; terzo, volontà; quarto, agio; quinto, stampatore; sesto, libraio; settimo, leggitori. Vedete quante cose, oltre forse le dimenticate.» «Or certo, eccovi al solito degli autori, a lagnarvi di stampatori, librai, e leggitori; dovreste vergognarvene, voi principalmente autor dilettante, principiante....» «Or principian elleno le ingiurie?» «Signor no, ma senza ingiuria io vi dico che non mancano stampatori nè leggitori agli autori, ma più sovente....» «Bene, bene, mancherammi altro, mancherammi altro. Ma io non entro in dispute, e vi rispondo, o novelle o nulla. Non novelle? dunque nulla.» «Ma volete voi la mia?» interruppe il maestro che da mezz'ora dimenava la lingua in bocca, «volete la mia? Dirovvene una modestissima che ce la disse un ufficiale amico di Toniotto, una volta che lo venne a vedere al paese, e incominciarono a parlare della guerra di Napoleone contro alla Spagna ch'egli avean fatta amendue, ma più lungamente l'ufficiale, ed ambi erano come innamorati de' lor nemici spagnuoli. E dicendo io che ce n'era de' buoni e de' cattivi, l'ufficiale rispondeva, che anzi ce n'era di quelli buonissimi e cattivissimi a vicenda, od anche a un tempo. Ed osservando io che tutti i popoli meridionali sono così, l'ufficiale mi rispondeva che non tutti, e poi ci disse questa storia, che l'aveva udita da una delle persone interessate. Onde, avendola io udita da lui, e voi da me, l'avrete passata per tre bocche solamente. Vedete perciò quanta credenza le dobbiate dare. Or la volete voi?» «Sì» disse la gentildonna.
 
====''L'ebrea''====
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====''Il filosofo''====
Non so perchèperché, nè veramente se succeda da tutti come a me: che certi vizj m'accorano più assai, se mi ci abbatto in contado che non in città. Forse viene da quell'idea, che, giusta o falsa, tutti pur più o meno abbiamo, delle corruzioni delle città, e della innocenza della vita villereccia; onde là i vizj non ci stupiscono, e qua sì. Fra que' vizj poi che in villa mi paiono, per così dire, più contro natura, egli è quello di ogni sorta d'ipocrisia. In città, dove ognuno vuole accostarsi a una parte e per essa alzarsi a far fortuna, è naturale che si affettino da ogni uomo or queste or quelle virtù affettate dalla parte. In villa, dove si vive più solo, e dove ci è meno a perdere e meno a guadagnare a non mostrarsi quale uno è, pare che sia anche più sozzo: appunto, come un tradimento par più vile, quanto più vile è il prezzo che se ne raccoglie.
 
====''L'ufficiale in ritiro''====
Alberto era figliuolo d'un signore ricco; ma più che ricco, nobile e potente alla corte di.... al tempo dell'invasione de' Francesi in Italia. Scappato il suo Principe, deposto egli dei suoi impieghi, e rimasto in sospetto dei repubblicani possessori della potenza, fu anche in breve arrestato e tenuto in castello quasi ostaggio. Quei repubblicani utopisti, come li chiama il Botta, erano così poco sicuri del popolo sovrano, in nome di cui reggevano, che erano anzi obbligati a prendere precauzioni contra la sua indocilità a lasciarsi liberare e far felice. Alberto aveva allora di dodici in quattordici anni. Allevato signorilmente alla moda d'allora, cioè, come si dice volgarmente, nella bambagina, aveva studiato tanto bene che male; ma del resto era indietro di quattro o cinque anni in ogni cosa rispetto ai figliuoli di ogni buon borghese od artigiano, che non avessero tre o quattro persone da mettere intorno al preziosissimo erede. Usciva poco di casa, non aveva forse mai preso nè pioggia, nè vento; di rado il sole, non certo quel di febbraio o di marzo, micidiale, come si sa, ai figliuoli dei signori, quantunque cercato avidamente, e continuamente provato da quelli delle razze più grossolane. Le rivoluzioni mutando cose più gravi, mutò anche questa, che tuttavia non è forse così piccola. La madre di Alberto, ansiosa del marito ed inferma in casa, lo mandava su e giù al castello a portare e riportare le commissioni; e non c'era a pensare da mandarlo accompagnato dall'abbate o in carrozza, chè i Giacobini si sarebbero burlati di questi modi aristocratici, e gli avrebbero chiuse in faccia le porte. La rivoluzione apportò dunque ad Alberto la libertà; la libertà forse più effettiva che apportasse. E bisogna dire che tutte le regole ammettono eccezioni, perchèperché Alberto non ne abusò. È vero che la madre lo faceva seguire e vigilare da lungi, e che il giovane, anche quando l'avesse voluto, non avrebbe potuto fare grandi scappate. Ma i sorveglianti non poterono impedire ch'ei si trattenesse sovente a far conversazione alle porte del castello coi militari che le guardavano, conversazioni che si prolungavano sovente assai pel reciproco piacere del fanciullo avido di quelle novità, curioso e vivo per naturale, e di quei militari già vecchi di servigj ma giovani d'età, e a cui perciò era grata per qualche momento la vista, il cicaleccio d'un bello e vivace giovanetto, il quale ricordava all'uno il fratello, all'altro il figlio, lasciato come dicevano ai focolari. Tutti i maestri di studio del fanciullo, ma quelli principalmente di latino, si lamentarono d'allora in poi della svogliatezza e della dissipazione del fanciullo. La madre si lamentava del nuovo chiasso che facevasi in casa. Non era altro più che tamburi, esercizio, e bastoni rivolti in fucili, e grida di comandi militari gettati al vento.
 
===''Vita di Dante''===