Julius Evola: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
K.Weise (discussione | contributi)
Nessun oggetto della modifica
Riga 49:
* Peraltro leggi ed istituzioni, come erano dall'alto, così, nei quadri di ogni tipo veramente tradizionale di civiltà, erano verso l'alto. Un ordinamento politico, economico e sociale reato in tutto e per tutto per la sola vita temporale, e cosa propria esclusivamente al mondo moderno, cioè al mondo dell'anti tradizione. Lo Stato, tradizionalmente, aveva invece un significato e una finalità in un certo modo trascendenti: esso era una apparizione del "sovramondo" e una via verso il "sovramondo".
* Ancora una volta, non si dimentichi la verità, da cui il mondo tradizionale era compenetrato: nulla accade quaggiù, che non sia simbolo ed effetto concordante di avvenimenti spirituali - fra spirito e realtà ( e quindi anche potenza) vi è una intima relazione. Come conseguenza particolare di tale verità, si è già accennato che il vincere o perdere non furono mai considerati come puro caso. La vittoria, tradizionalmente, implica sempre significato un significato superiore. Permane ancora, e con particolare risalto, tra le popolazioni selvagge l'idea antica, che lo sfortunato è sempre un colpevole: gli esiti di ogni lotta, epperò anche di ogni guerra, sono sempre i segni mistici, risultati, per così dire, di un "giudizio divino", capaci dunque di rivelare, o attuare, un destino umano.
* Nel mondo moderno, sì è deprecata l' "ingiustizia" del regime delle caste, ancor più sono state stigmatizzate le civiltà antiche che conobbero la schiavitù e si è ha ascritto a vanto dei tempi nuovi l'aver rivendicato il principio dell' "umana dignità". Anche questa è pura retorica. Quel che vale piuttosto mettere in rilievo è che, se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l'alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico e le strutture assurde di una società più o meno collettivizzata. E poichèpoiché la visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo, così la schiavitù di oggi è la più tetra e la più disperata di quante mai se ne siano conosciute.
* Più in generale, va detto che quando il diritto di proprietà cessa di esser privilegio delle due caste superiori e passa alle caste inferiori - dei mercanti e dei servi - si ha di necessità una virtuale regressione naturalistica, si restaura la dipendenza dell'uomo da quegli "spiriti della terra", che nell'altro caso - nel quadro della tradizionalità solare dei signori del suolo - "presenze" superiori trasformavano in zone di influenze propizie, in "limiti creatori" e preservatori. La terra, che può anche appartenere ad un "mercante", vaisha - i proprietari dell'èra capitalistico-borghese possono considerarsi come gli equivalenti moderni dell'antica casta dei mercanti - o ad un servo (il moderno lavoratore), è una terra profanata: non altra è dunque quella che - conformemente appunto agli interessi propri alle due caste inferiori, riuscite a strapparla definitivamente all'antico tipo dei "signori" - non vale più che come un fattore di "economia", da sfruttare ad oltranza in ogni suo aspetto con macchine ed altre escogitazioni moderne. SenonchèSenonché, giungendo a tanto, è naturale incontrare gli altri sintomi caratteristici per una tale discesa: la proprietà tende sempre più a passare dall'individuale al collettivo. [...] Si ha cioè proprio un ritorno dell'impero del collettivo sull'individuale, col quale si riafferma altresì il concetto collettivistico e promiscuo della proprietà proprio alle razze inferiori, come "superamento" della proprietà privata, come statizzazione, socializzazione e proletarizzazione dei beni e delle terre.
* Non tanto dei nuovi "fatti" potranno portare al riconoscimento di diversi orizzonti, quanto un nuovo atteggiamento dinanzi ad essi.
* Anche nella morale Cristiana la parte avuta da influenza e meridionali e non arie è abbastanza visibile. Che sia di fronte a un Dio, e non ad una dea, che non si riconosce spiritualmente alcuna differenza fra uomo e uomo e si elegge per supremo principio l'amore, è di poco momento. Questa eguaglianza appartiene essenzialmente ad una concezione generale, una variante della quale è quel "diritto naturale", che aveva trovato modo di insinuarsi nel diritto romano della decadenza: è in funzione antitetica rispetto all'ideale eroico della personalità, al valore dato a tutto ciò che un essere differenziandosi, dando a se stesso una forma, conquista per sè in un ordine gerarchico.