Stanley Karnow: differenze tra le versioni

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*Le dimensioni autentiche del [[Genocidio cambogiano|martirio cambogiano]] probabilmente non verranno mai conosciute né comprese. Nondimeno, le informazioni attualmente disponibili sono tali da superare l'olocausto perpetrato dai nazisti. (p. 36)
*I comunisti stavano allora attuando uno sterminio sistematico di due milioni di cambogiani, pari ad un quarto della popolazione. Molti, costretti a marce forzate o a lavorare come schiavi, morirono per gli stenti, le malattie, i maltrattamenti o la completa inedia; tra le atrocità di quei giorni, ci furono anche casi di cannibalismo. Migliaia e migliaia di cittadini della classe media, marchiati come parassiti semplicemente perché portavano gli occhiali o parlavano una lingua straniera, vennero liquidati sistematicamente. Scuole ed edifici pubblici vennero trasformati in camere di tortura. Martiri e mogli vennero ammazzati con i figli; le vittime vennero fotografate prima e dopo l'assassinio. I comunisti proclamarono "anno zero" l'avvento della loro amministrazione; era l'inizio di una "nuova comunità" che si sarebbe sbarazzata di "ogni sorta di cultura depravata e di piaghe sociali". (p. 37)
*I francesi, sebbene fossero armati molto meglio del Vietminh, non disponevano di uno strumento di importanza essenziale: l'aviazione. I vietminh, sebbene fossero una forza di guerriglia, gradualmente divennero grandi unità militari, capace di affrontare i francesi in scontri sempre più vasti, soprattutto nelle fitte giungle del Vietnam settentrionale. (p. 83)
*Una cultura nazionalistica spinta quasi al limite della xenofobia ispirava agli attivisti del Vietminh l'idea di una guerra santa contro gli invasori stranieri e i loro clienti locali. Questo fervore difficilmente pervadeva le grandi masse vietnamite, che stavano a guardare e ad aspettare secondo il tradizionale stile asiatico, piegandosi come canne di bambù alla forza del vento. Eppure, dava forza al Vietminh poiché i suoi militanti erano disposti a sostenere pesanti costi per la loro causa, suscitando stupore nella popolazione con la loro capacità di resistere a un nemico di forza superiore. (p. 84)
*{{NDR|Su [[Ngô Đình Diệm]]}} Cattolico ascetico, con radici profonde nella religione confuciana, era nello stesso tempo un monaco e un mandarino. Era onesto, coraggioso ed entusiasta nella sua fedeltà alla causa nazionale vietnamita; anche Ho Chi Minh rispettava il suo patriottismo; ma non reggeva il confronto con Ho Chi Minh, che anche gli anticomunisti consideravano un eroe. Permeato da un senso di infallibilità, come se fosse un antico imperatore investito dall'alto a governare, Diem pretendeva obbedienza. Diffidente di chiunque non facesse parte della sua famiglia, non voleva delegare la sua autorità né era capace di costruirsi una base di potere che andasse al di là dei suoi amici cattolici e conterranei del Vietnam centrale. Soprattutto non riusciva a capire le dimensioni della rivoluzione politica, sociale ed economica che veniva propugnata dai suoi nemici comunisti. Vedeva le loro iniziative soltanto in termini militari; era una percezione errata, ma condivisa dai suoi patroni americani. Con questi limiti, non era in grado di mobilitare efficacemente il popolo sudvietnamita per affrontare la crescente attività insurrezionale dei vietcong, né era in grado di bloccare l'opposizione dei suoi critici, sempre più forte; le loro frustrazioni erano aggravate soltanto dalla sua incapacità di contenere l'avanzata comunista. L'imperfetto accordo di Ginevra non aveva raggiunto propriamente una soluzione; l'aveva soltanto rinviata. Sottoscritto in gran fretta per evitare una guerra più ampia, non era altro che una temporanea tregua tra la Francia e il Vietminh, che doveva essere onorata fin quando fosse raggiunta una soluzione politica durevole. Diem, avendo respinto l'accordo di Ginevra, si rifiutava di collaborare e gli Stati Uniti lo sostenevano. Ma i comunisti, che avevano combattuto per unificare il Vietnam, non erano disposti ad accettare la prospettiva di una divisione permanente; erano pronti a riprendere la loro lotta, e a lanciare una nuova sfida contro la politica di contenimento che inizialmente aveva coinvolto gli Stati Uniti in Indocina. (pp. 107-108)
*{{NDR|Su [[Ngô Đình Diệm]]}} Sempre vestito con un abito bianchissimo di sharkskin, lo status symbol del mondo ufficiale vietnamita, era un ometto rotondo rotondo; non riusciva a toccare il pavimento con i piedi quando stava seduto sulle eleganti poltrone nei saloni del palazzo di Gia Long, ex residenza del governatore francese. Sembrava fragile come la porcellana, con i tratti delicati e la pelle d'avorio, ma i suoi occhi neri emanavano una fede fanatica nella sua crociata. Fermandosi soltanto per accendersi una sigaretta dopo l'altra, parlava incessantemente con la sua voce dai toni alti, rievocando la sua vita con una serie interminabile di dettagli, sfiancante per il suo interlocutore. Una volta, dopo un intero pomeriggio passato ad ascoltare il suo monologo, uscii nel crepuscolo tropicale riflettendo sul fatto che, con un paese in crisi, il capo del governo potesse dedicare una mezza giornata ad un giornalista. Ma questo faceva parte del suo problema. Fuori, sul terrazzo, una folla di funzionari, ufficiali dell'esercito, diplomatici lo stavano aspettando con impazienza. I loro urgenti affari erano stati messi da parte per la lunga conversazione con me. (pp. 108-109)