Massimo Cotto
giornalista, disc jockey e scrittore italiano (1962-2024)
Massimo Cotto (1962 - 2024), giornalista, disc jokey e scrittore italiano.

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modificaCitazioni in ordine temporale.
- Feroce come un cane da guardia, sensibile come pelle al sole, Kiedis ha trasferito nella musica ogni possibile veicolo di salvezza. [...] Kiedis è rockstar a tempo pieno, nel senso che vive la sua condizione senza recitare. Scrive di sesso, droga e morte, ma anche di bellezza e candore, attinge da Charles Bukowski come dai compagni di viaggio, entra e esce dalla riabilitazione, colleziona donne, crede nel domani anche se il presente non cancella le paure. Tutto questo lo rende credibile e gigantesco anche agli occhi di chi non ama il peperoncino.[1]
- [Su Janis Joplin] La più grande cantante bianca di blues di sempre, se per blues intendiamo la capacità di trasferire in musica dolore, malessere, inquietudine, rabbia, disperazione e male di vivere. Non solo uno stile, ma uno stile di vita, quello che ti spinge a confessarti tra le note e dentro un canto. La canzone come sfogo, unica possibilità di redenzione. La canzone come contenitore di piccoli drammi e grandi malinconie. La canzone come alternativa alla vita, perché la vita non basta e c'è bisogno di un po' di sole, dopo infiniti temporali. Ma – eccola la dannazione, eccolo il paradosso – se il blues canta la vita e non la finzione, Janis poteva cantare solo il suo dolore, il dramma di non essere accettata per quel che era, ma solo e sempre per quel che sembrava: una donna apparentemente forte e decisa, capace di comandare un esercito quando avrebbe invece voluto arrendersi e diventare prigioniera. Di una vita normale, di un amore qualunque, di un Kozmic Blues meno scuro e nero come la notte.[2]
- Giorgio Caproni è stato uno dei poeti più sottovalutati e meno conosciuti del Novecento e invece uno dei più significativi. Livornese trapiantato a Genova [...] una vita spesa orgogliosamente a fare il maestro elementare, ha saputo catturare la luce dentro l'oscurità delle cose, la bellezza nei vicoli dell'esistenza. Amava la musica e i maledetti francesi, i lampi e le immagini fugaci. Nessuno meglio di lui ha saputo descrivere poeticamente il tramonto [...]. Nessuno ha raccontato l'avvicinarsi della fine con delicatezza nei versi e sorriso in volto [...]. Nelle sue poesie c'è, intatta, la vita.[3]
- John Belushi è stato tante cose, forse non è neanche il caso di ricordarle. Animal House e The Blues Brothers nel cuore, i suoi eccessi negli occhi, le sue canzoni con Danay Kroyd nella testa. Le cavallette e le missioni per conto di Dio, I toga party e Bluto. La comicità demenziale, l'amore per il blues e per il soul. La fragilità nascosta nelle pieghe della mano. La fine che arriva troppo presto, i titoli di coda dell'unico suo film che non avremmo mai voluto vedere.[4]
- Ci divertivamo con poco. Erano gli anni settanta, non favolosi come gli anni sessanta, ma comunque belli e pieni. E poi, noi nei Sessanta eravamo troppo piccoli. Si giocava a pallone, ping pong e palla base, una versione nostrana del baseball. Si andava all'oratorio. C'era anche il calcio balilla, un bicchiere di Coca Cola costava venti lire, un bicchiere di spuma trenta, perché era già roba da grandi. Le ginocchia erano sempre sbucciate, anche se non eri più un bambino. E Natale era Natale, con le luci e la neve e l'albero e le palle che cadevano sempre. E poi c'erano loro [Bud Spencer e Terence Hill], che facevano ridere come si rideva allora. Senza pensare al domani, perché il domani era davvero un pensiero troppo lontano anche solo da immaginare.[5]
Il rock di padre in figli*
modifica- Rock significa andare avanti per la tua strada e non accettare compromessi [...]. Rock è vincere anche quando tutti pensano che tu stia perdendo. Perché non perdi quando vendi pochi dischi, perdi quando fai dischi in cui non credi. (p. 51)
- I Clash sono la Chiesa del punk, gli unici che hanno avuto il coraggio di dire che il punk si doveva opporre al passato che non valeva niente, non al passato e basta. Guarda la copertina del loro album più celebrato, London Calling. È un omaggio dichiarato a Elivs Prestley. Come a dire: ascolta, non si butta tutto, ma solo la roba scaduta. (p.188)
- [Prince] Ha fatto rimbalzare la musica nera e poi fatto canestro da metà campo. È riuscito nell'incredibile impresa di fabbricare un suono ossessivo, quasi tribale, quasi da paura, eppure al tempo stesso sofisticato. Prince raggruma trent'anni di storia del rock, assumendo le sembianze di Little Richard, James Brown, Sly Stone e Jimi Hendrix. (p. 278)
- [Parlando degli U2] Io li ho molto amati fino a un certo punto della loro strada [...], poi il mio cuore li ha un po' persi di vista, adesso mi sono totalmente indifferenti. Si sono affacciati al rock all'alba degli Anni Ottanta, in un momento storico in cui questo sembrava aver perso un po' della sua forza "epica". Tanti erano i gruppi di successo, ma pochi che portassero avanti la vecchia idea che il rock potesse cambiarti o salvarti la vita mettendoti al servizio degli umili e raccontando storie di ingiustizie e soprusi. Gli U2 riempirono questo vuoti, almeno fino a The Joshua Tree. Scrivono canzoni rabbiose, ma piene di melodia, che parlano della guerra civile in Irlanda del Nord [...] o di Martin Luther King. A volte mostrano l'anima della working class e del punk, altre volte sembra che preghino. La loro formula è unica e inconfondibile. Il ritmo è dettato dalla chitarra di The Edge, ma è la voce di Bono a fare la differenza, perché è al tempo stesso fisicamente rock e profondamente spirituale, quasi gospel. Poi, quando diventano il gruppo più potente della scena rock, il loro rock comincia a cambiare. (pp. 279-280)
- Secondo me i Måneskin sono l'esempio perfetto di un certo malcostume italico. Ci lamentiamo per anni che non arriva un gruppo rock capace di valicare i confini, ci arrabbiamo perché le radio considerano le chitarre fuori moda [...] e che il rock non tira più come un tempo. Ci accaniamo contro la trap e le canzoni troppo melodiche, attacchiamo il festival di Sanremo e la pochezza di molti testi. Poi arriva un gruppo rock che conquista il mondo, che riporta in auge le chitarre, che spacca alla radio e noi come reagiamo? Diciamo che non sono i Led Zeppelin, che non sono gli Stones. Ma, santo Dio, nessuno è come i Led Zeppelin! Nessuno è come gli Stones! E allora, godiamoci il successo dei Måneskin anche se non ci piacciono. In un modo o nell'altro, hanno fatto bene al rock. (pp. 296-297)
Note
modifica- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 1º novembre 2022.
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 19 gennaio 2024.
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 22 gennaio 2024.
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 24 gennaio 2024.
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 27 giugno 2024.
Bibliografia
modifica- Massimo Cotto, Il rock di padre in figli*, Gallucci, 2023, ISBN 979-12-221-0312-9
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