Isabella C. Blum
traduttrice e biologa italiana
Isabella C. Blum (1958 – vivente), traduttrice e biologa italiana.
Intervista di Andrea Zanni, iltascabile.com, 2 settembre 2022.
- La mia formazione è stata fortunatamente, o forse dovrei dire fortunosamente, eclettica. Ho avuto una madre innamorata della letteratura e dell'arte, della lettura e della scrittura, e un padre con una cultura da ingegnere; ho fatto un liceo classico nel corso del quale mi sono capitati (anche) alcuni splendidi docenti, ho studiato musica con un grande Maestro, e ho una laurea scientifica. Tutti questi sono tasselli che hanno contribuito in modo importante alla mia forma mentis, infondendomi l'amore per le parole, per la lettura e la scrittura, l'approccio scientifico al testo, e una certa sensibilità musicale. A posteriori, l'insegnamento più alto che mi venne dal mio Maestro di pianoforte, Alberto Mozzati, fu quello del rispetto verso se stessi e quindi verso il proprio lavoro.
- La diversità è un fatto. C'è. Esiste. Sacks non s'è mai sognato di negarla, farlo sarebbe andato contro la sua quotidiana esperienza di scienziato, di medico e di uomo. Non si sognò mai, come fanno oggi molti, nei contesti più vari, di dire che siamo tutti uguali. Non siamo tutti uguali, siamo tutti diversi – chi non vede la diversità è cieco o ipocrita: il punto è che la diversità non dovrebbe giustificare la discriminazione. Sacks dunque non spaccia la diversità per uguaglianza, ma rivendica pari dignità per tutte le sue manifestazioni – una rivendicazione implicita, non dichiarata, che tuttavia affiora in ogni sua riga. L'opera di Sacks, nella sua interezza, è un rispettoso e ammirato tributo alla diversità umana, anche nelle sue espressioni più estreme – quelle che in passato non si esitava a definire mostruose. Sacks non vedeva mostri, non vedeva fenomeni da baraccone, vedeva un'umanità variegata, sfaccettata – irresistibile oggetto di studio e al tempo stesso ineludibile motivo d'attrazione, qualcosa che lo spingeva alla conoscenza e al contatto umano.
- Nel 2016, al cane e ai gatti di casa si unì un coniglio. Lo chiamai Apache. Si stabilì tra me e lui un rapporto di grande tenerezza, amicizia e fiducia. Apache mi mostrò, tra l'altro, l'inconsistenza di molti stereotipi sulla sua specie – per esempio quello della vigliaccheria. Lui sapeva perfettamente che cosa temere e cosa no. Con la paura aveva una gran dimestichezza (la governava, la gestiva); il che si spiega, io credo, solo con il suo essere preda. In quanto tale, un coniglio deve essere prudente, saggiamente cauto. Che non significa essere vigliacchi: è semplicemente un vender cara la pelle. [...] Quando Apache morì decisi che il suo passaggio nella mia vita avrebbe dovuto lasciare una traccia permanente. Non avrei più toccato la carne di un animale. Nessun animale, per me, sarebbe più stato preda. Ci volle un lutto – perché quello fu – per spingermi a quel passo. Dal 21 settembre 2020 io non tocco carne.
- Al di là dell'intelligenza e della definizione che vogliamo darne, un polpo è senziente, un'aragosta è senziente. Ucciderli sbattendo uno contro gli scogli per ammorbidirne la carne, e gettando l'altra nell'acqua bollente – sono prassi di una crudeltà selvaggia. Ma anche ucciderli con mezzi "umani" non è una scelta accettabile. Non quando si acquisiscono conoscenze su queste e altre creature: conoscenze scientifiche che ce ne svelano la complessità dei comportamenti, l'intelligenza e – su tutto – la possibilità di patire dolore.
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