Walter Cronkite

giornalista e personaggio televisivo statunitense

Walter Leland Jr. Cronkite (1916 – 2009), giornalista e personaggio televisivo statunitense.

Walter Cronkite nel 1997

Citazioni di Walter Cronkite modifica

  • Da Dallas, Texas, un flash d'agenzia, apparentemente ufficiale: il Presidente Kennedy è morto all'1 p.m. ora centrale del continente; 2.00 ora della costa orientale, circa 38 minuti fa.
From Dallas, Texas, the flash, apparently official: President Kennedy died at 1 p.m. Central Standard Time. 2:00 Eastern Standard Time, some 38 minutes ago. (citato in «L'uomo più fidato d'America» Che pianse per la morte di JFK, Corriere della sera, 19 luglio 2009)
  • Il paese teledipendente deve aspettarsi di venire strumentalizzato dai demagoghi e dai dittatori, quando regna la seminformazione. La tv non può essere l'unica fonte di notizie, non vi è equipaggiata. I falsi dibattiti televisivi, gli slogans, gli spots, i fotoflash, tutti trasformano la politica in teatro. (da Cronkite: la tv ammazzanotizie, Corriere della sera, 29 gennaio 1997)
  • Nixon ebbe sempre un complesso nei confronti di Kennedy, forse per la sua infanzia povera e per la sua goffaggine, non seppe mai comunicare, non ebbe mai carisma. Vide ovunque complotti, e reagi' con altri complotti. La sua tragedia privata divenne una tragedia nazionale. (da Cronkite: la tv ammazzanotizie, Corriere della sera, 29 gennaio 1997)
  • Avevo lasciato gli Usa che ero un ragazzo, e vi ritornai che ero un uomo. Mi portai dietro l'orrore della guerra e le ideologie, e la convinzione che l'eguaglianza e la tolleranza siano i binari su cui corre la pace. (da Cronkite: la tv ammazzanotizie, Corriere della sera, 29 gennaio 1997)
  • La parola "stampa liberal" in questo Paese è stata coniata dai conservatori, per i quali ha un connotato negativo. La realtà è che i media in America sono in mano a conservatori e repubblicani e il fatto stesso che siano giudicati "liberal" è la migliore testimonianza di libertà e d'indipendenza dalla proprietà che si possa immaginare. Soprattutto nel caso di testate influenti come il New York Times e il Washington Post. (da "Non c'è lo sdegno del Watergate: la gente l'assolve", Corriere della sera, 20 dicembre 1998)
  • La regola d'oro, fra i reporter di Casa Bianca e Congresso, era ignorare i peccati individuali dei politici, a meno che questi non interferissero sulla sfera pubblica mettendo in pericolo la sicurezza della Nazione. La privacy era sacra, e sarebbe meglio che tornasse a esserlo. Non credo che sia stato il ruolo dei media a condizionare l'esito della crisi. Lo scandalo [quello di Monica Lewinsky durante la presidenza di Bill Clinton] andava indagato in quanto rilevante per la politica e il governo del Paese. Sarebbe stato imperdonabile coprirlo o ignorarlo, e mi pare ingiusto accusare la stampa di averlo strumentalizzato. (da "Non c'è lo sdegno del Watergate: la gente l'assolve", Corriere della sera, 20 dicembre 1998)
  • Molti di noi pensano che per evitare un eventuale catastrofico conflitto mondiale dobbiamo rafforzare le Nazioni Unite, come primo passo verso un governo mondiale ispirato ai nostri governi, con potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e una forza di polizia per mantenere le leggi e la pace. Per questo, ovviamente, noi americani dovremmo rinunciare a parte della nostra sovranità. Sarà una pillola amara da ingerire. Ci vorrà molto coraggio, molta fede nel nuovo ordine. Ma le colonie americane lo fecero già una volta e crearono una delle più perfette unioni che il mondo abbia mai visto.[1]
  • Stasera, tornati a New York, vorremmo tirare le somme di quel che abbiamo visto in Vietnam. Un'analisi che deve essere seria, personale, soggettiva. Chi ha vinto e chi ha perso nella grande offensiva del Tet contro le città? Io non ho certezze. I Vietcong non hanno vinto per ko, e nemmeno noi. Gli arbitri della storia dovranno assegnare un pareggio. [...] Troppo spesso siamo rimasti delusi dall'ottimismo dei leader americani, sia a Hanoi che a Washington, per credere ancora che dopo la pioggia viene il sereno. [...] Dire che oggi siamo più vicini alla vittoria significherebbe credere a quegli ottimisti che in passato si sono spesso sbagliati. Suggerire che ci avviamo alla sconfitta vorrebbe dire cedere a un pessimismo irragionevole. Affermare che siamo impantanati in un punto morto è la sola conclusione realistica [...]. È sempre più chiaro a chi vi parla che il solo modo ragionevole di uscirne [dalla guerra] sarà il negoziato, non come vincitori, ma come gente alla quale è rimasto il senso dell'onore e ha tenuto fede al proprio impegno di difendere la democrazia, come meglio ha potuto. Da Walter Cronkite, buonanotte. (da Cbs Evening News Special, 27 febbraio 1968; citato in Alberto Piccinini, Punto morto, il manifesto, 21 luglio 2009)
  • Ho costruito la mia reputazione su un giornalismo onesto e diretto. Fare qualunque altra cosa mi suonerebbe finto. (da «L'uomo più fidato d'America» Che pianse per la morte di JFK, Corriere della sera, 19 luglio 2009)
  • [Dopo l'11 settembre] Come durante la guerra fredda vi è il pericolo che l'opinione pubblica diventi molto emotiva, e che si finisca per lanciare una caccia alle streghe che rischia di andare a pescare in aspetti della società estranei a quello che è accaduto. (da Corriere della sera, 14 settembre 2001)
  • Ritengo che nessun reporter abbia mai dovuto fronteggiare le enormi difficoltà che i giornalisti incontrano oggi in Afghanistan. Nessuno, prima, aveva mai conosciuto il caos fuorilegge che impera nella regione. Dalla seconda guerra mondiale al Vietnam, i corrispondenti sul campo hanno sempre lavorato al riparo dei propri eserciti. Quando arrivavano in prima linea si sentivano sicuri perché protetti dalle truppe di casa loro. Ma in Afghanistan la prima linea non esiste neppure, così come non ci sono zone di guerra o schieramenti definiti di truppe. I corrispondenti sono costretti a muoversi individualmente. (da «Per i cronisti mai una guerra così pericolosa», Corriere della sera, 23 novembre 2001)

Citazioni su Walter Cronkite modifica

  • In un'epoca senza blogs, email, cellulari e satellite, LUI era la notizia [In an era before blogs and emails, cellphones and cable, HE was the news]. Il Paese ha perso un'icona e un amico caro. Walter fu sempre qualcosa in più di un conduttore: qualcuno a cui ci potevamo affidare perché ci guidasse attraverso i temi più importanti del giorno, la voce della certezza in un mondo incerto. Era come uno di famiglia. Ci invitava a credergli e non ci deluse mai. (Barack Obama)
  • Per tutti gli anni '60 e '70, Cronkite ha incarnato l'esempio di giornalismo anglosassone: controllare il potere stando dalla parte della gente, acquisire grande credibilità, ascoltare sempre più campane, separare i fatti dalle opinioni ma in una versione nuova, televisiva. L'anchorman è la guida dello spettatore nella selva delle notizie, è il suo punto di riferimento, la sua luce nella notte. Di più: Cronkite era l'informazione televisiva; grazie a lui il mezzo, in quanto a stima, ha fatto passi da gigante. (Aldo Grasso)
  • Se ho perduto il tuo appoggio, ho perduto quello del Paese. (Lyndon B. Johnson)

Note modifica

  1. Cronkite, Walter: The First Priority of Humankind..., Discorso alle Nazioni Unite, Ottobre 1999.

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