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Stub Aliminusa, voce tematica modifica


  • Aliminusa. Lat. Almenusa. Sic. Arminusa (V. M.) Piccolo villaggio o contrada, nel feudo dello stesso nome, fondato da poco, la cui Chiesa Parrocchiale dedicata a S. Anna Madre della B. Vergine è quasi unita al Palazzo della Signoria. Comprossi il feudo di Almenusa il chiarissimo Mario Cutelli Conte di Villarosata, nobile Catanese e celeberrimo Giureconsulto, e lasciollo al figlio Giuseppe, colla disposizione che se mancasse di erede diretto, curerebbe fondare un collegio di nobili giovanetti con l'assegnazione di Aliminusa ed altri suoi possedimenti; ma da Giuseppe che fu anche signore di Valle d'Olmo, nacque Antonio da cui Giuseppe Giovanni, quale fiorì ornato di varie erudizioni, ma morì senza prole nel 1747. Mossero allora i Catanesi a voler fondare il collegio secondo la disposizione di Mario, e concessero ad Ignazio Paternò Principe di Biscari per censo annuale, la contrada di Almenusa e le terre annesse. È soggetta nello spirituale al Vescovo di Cefalù, e non ne arrivano gli abitanti ad un centinajo: il Barone vi ha potere di vita e di morte. [1]
  • Tra Cerda e Montemaggiore sorge il Comune di Aliminusa, si dolce pendio a piè del monte Soprana (450 m.), fra rigogliosi campi disseminati ad olivi ed altri alberi fruttiferi, con deliziosi vigneti. [...] Posto l'abitato a SE e NW è circondato da tutte le parti da terre comunali, mentre a S si attacca alle falde di una poetica collinetta che gli sta a cavaliere, coperta di simmetrici ulivi. Ad E e W è separato dai campi dai due burroni Matalone e Bevaio secco. L'interno del Comune ha tre vie principali parallele ed una orizzontale, intersecate tutte da altre strade secondarie, costruite a ciottoli, dritte, larghe, per cui si respira un'aria salutare e benefica.
    Il sito elevato sul quale siede Aliminusa fa godere la vista di un bel panorama: il monte S. Calogero, il cozzo della luna, il monte Cane, la montagna di Busambra, il monte Roccellito, il mare, e molto prossimi Sciara e Montemaggiore.
    Sull'alto del monte Soprana, è sorprendente l'osservare le maggiori alture della Sicilia, alquanti paesi, ed anche Palermo e l'Etna. [2]
  • Aliminusa (Palermo).
    Pregevole produzione di carciofi e piselli; questi ultimi, di squisita dolcezza, meriterebbero denominazione.
    Nel periodo invernale, la macelleria prepara una saporosa rustica salsiccia. [3]
  • Se è vero che le soglie sono propaggini delle case, è anche vero il contrario; le attività della donna, infatti, hanno un carattere pubblico anche se svolte in casa, poiché le stesse abitazioni private, con porte e finestre perennemente spalancate e l'elevatezza del tono di voce, in realtà sono un'autentica estensione della strada.
    La strada è il luogo dove la donna attua il maggior numero di interazioni significative. Possiamo dire che, in quest'ambito, non c'è una donna che non abbia molteplici rapporti di vario tipo con una qualunque altra donna della stessa strada, e tutti intersecati con i nodi e gli intrecci delle relazioni delle altre. La frequenza e l'intensità dei rapporti generalmente decresce con il crescere della distanza tra le abitazioni.
    Le relazioni tra due donne non sono un fatto privato e sono solo un segmento della vasta e complessa trama di rapporti che avviluppa la strada e la comunità. L'inesistenza di un spazio casalingo propriamente privato e lo svolgimento della maggior parte delle occupazioni e delle interazioni femminili nella strada (le donne di Aliminusa potremmo definirle stradalinghe), non fa che accrescerne il carattere pubblico. [4]
  • Posta a 650 metri sul livello del mare, Aliminusa domina la Valle del Torto. Ha una curiosità: per la sua particolare morfologia, il paese scompare alla vista di chi guarda dal lato del mare, per cui si dice che sia trasparente. Un paradosso o una contraddizione?! Non solo questi... Infatti, chi cerca di sciogliere l'etimo di Aliminusa, scoprirà che vi è un'altra contraddizione specie se si accredita la tesi che la città derivi il suo nome dall'arabo armish che vuol dire valle senza acqua; invece è noto che il territorio abbonda di acque sotterranee. Altri studiosi sostengono che Aliminusa derivi da Alumenae cioè l'illesa, la non sconfitta. L'alfa privativa stavolta sarebbe coerente. Infatti, stando ad una bellissima leggenda, si racconta che un re voleva conquistare Aliminusa e si fosse mosso contro la città, ma appena giunto sul posto la città non c'era più. [...] Quanto all'origine della città, una notizia è certa: è quella che ci viene fornita da una carta geografica del XV secolo che è custodita negli Uffizi fiorentini. Il territorio di Aliminusa viene indicato con il termine di "Terrae Harminusae". Le altre notizie sulla città sono riscontrabili dal secolo XVII in poi. Aliminusa lega il suo destino al mondo del feudo, alla famiglia dei conti Luna, alla quale durante la dominazione spagnola faceva capo, quale contea di Chiusa Sclafani.[5]


Note modifica

  1. citato in Gioacchino Di Marzo, Dizionario topografico della Sicilia, Palermo, 1855, traduzione in italiano e parziale rifacimento dell'opera Lexicon Topographicum Siculum, il grande dizionario storico sulla Sicilia di Vito Maria Amico in 6 tomi pubblicato in latino a Palermo nel 1757
  2. citato in Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei Comuni Siciliani, Palermo, 1907
  3. citato in Luigi Veronelli, Guide Veronelli all'Italia piacevole. Sicilia, p. 19, Garzanti, 1970
  4. citato in Lillo Gullo e Tano Gullo, Aliminusa. Strada, donna, religiosità. Prospettive socio-antropologiche della cultura contadina, p. 30, Savelli, 1977
  5. citato in Domenico Portera, I comuni della provincia di Palermo, p. 7, Laterza, 1989

Citazioni di Lillo Gullo modifica

  • Diario minimo di due estati in una (Estate, molle stagione / di cocomeri e baci), le poesie di Gullo si traducono in una sorta di elogio della stasi e della lentezza, dell’inerzia e del torpore. Un io negato (o meglio “sgovernato”) che muove passi di lumaca catturando “calmeria di ozi” e “largheria di vedute”. Ma soprattutto una cifra ironica e lieve. Giochi di lettera e di parola, rime argute, lessico estroso, musicalità metastasiana per un canto che “scarroccia” tra dolcezza e volubilità. [1]
  • Dopo il periodo d’oro della poesia siciliana, popolato da autori della grandezza di Edoardo Cacciatore, Lucio Piccolo, Angelo Maria Ripellino, Salvatore Quasimodo e Ignazio Buttitta, Bartolo Cattafi, Santo Calì e Antonino Uccello, che ne è oggi della pratica di scrivere versi? Chi sono i poeti che attualmente contano, quelli che non hanno nulla a che spartire coi verseggiatori della domenica, sedicenti rimatori e instancabili grafomani? [...] Se spostiamo il nostro sguardo su Palermo, troviamo un drappello di poeti armati sino ai denti: Pino Giacopelli [...], Piero Longo [...], Aldo Gerbino [...], Lucio Zinna [...], Tommaso Romano [...], Salvatore Di Marco [...], Crescenzio Cane [...], Lillo Gullo, “miniaturista affabile”, poeta raffinato e ironico. [2]
  • È un canto di radice mediterranea, lirico e moderno a un tempo, schiuso al rapimento d’incanto dell’oggetto cantato: “ Ed ecco, il germoglio: / rinnovellata materia / che nella crepa s’avanza. // Poi vorrà ergersi spiga / per ondeggiare al vento: / e tingersi di biondo / per rivaleggiare con l’oro”. Gullo canta anche scene e personaggi dddi paese – le donne “stradalinghe”, il barbiere arbitro dei pettegolezzi locali, venditori e sensali; o il violinista orbo che “pregava con i sette coltelli delle note / e con occhi che somigliavano a denti / ed era come se scuoiasse satanassi”… Assieme alla plaquette poetica Gullo ha pubblicato, sempre per i tipi di Nicolodi, un volumetto di aforismi, Labbreggiature, con disegni di Giuseppe Maraniello. [3]
  • Gullo aforista-poeta sfiora ma non tocca. Più che la sentenza che marchia a fuoco o il motto che aspira alla proverbialità, gli si addice l’allusione e il non detto. In un mondo che affoga nelle parole, la parsimonia del linguaggio è necessaria: Imbrattare un foglio candido: / scrivere, in fondo, / è il gesto di un vandalo. [4]
  • Lillo Gullo è maestro di parola, figlio della tradizione grandissima di Sicilia... è bello leggere Gullo, le sue parole rare, ad esempio: ziri, sodaglie, chiotte, pittavano, tiraloro, carusi, stradalinghe, ingrommato, cirneco, fercolo, giummi, mustazzi, squieto, aquilonare, moltiplicanza, cògnito e pelargonio. Per sei ottavi, certo, si tratta di sicilianismi ma nel resto si trova il coraggio che è dei grandi scrittori di forgiare parole nuove... Si tratta di un’enfasi, creativa e antica, una voglia immane di fondere parole, di accostarle, farle suonare e distenderle... Lillo Gullo (le tante elle del nome già di per sé fanno poesia, bel suono, e fa poesia il nome del suo paese natale, pensate, Aliminusa) sa scrivere “bellissimo”, dalla pausa al respiro. E sa del senso che sfugge (dei nostri giorni) e della parola che scava in noi sagome di rimorsi. Ma il poeta, in lui, arriva prima della passione. E agogna. O subito dopo, e la acquieta nella malinconia del ricordo. O del rimorso. Sensazione ed emozione composta col bulino. Come odorare le zagare senza riversare su quei fiori la propria compagnia. Una poesia che è fatta soprattutto di parole, ma quando trovi il rigo della malinconia, nel ricordo o nel dolore definitivo della vita, allora il verso di Gullo si fa roncola che toglie il fiato al pensiero. E l’affanna. [5]

Citazioni su Lillo Gullo modifica

  • [...] Specialmente nei paesi meridionali è nelle vie e nelle piazze che si dispiegano le interazioni sociali, la dinamica dei rapporti interpersonali, specialmente extrafamiliari. Si pensi, ad esempio, alla lite popolare, alla sciarra siciliana, nella quale attorno alle protagoniste si sviluppa un intero movimento partecipativo coreografico. Anche se occasionata da episodi contingenti, la lite si sviluppa secondo moduli predeterminati e vincolanti; l’interazione che sollecita obbedisce a precise norme culturali che vengono fedelmente eseguite, pur con minime variazioni puntuali; Lillo e Tano Gullo, per esempio, nella loro ricerca su Aliminusa, In Sicilia, hanno messo in luce, fra gli altri tale aspetto. [6]
  • [...] Si pensi, ad esempio, alla teatralità delle lite popolare, della sciarra siciliana, nella quale attorno alle protagoniste si sviluppa un intenso momento partecipativo e coreografico. Anche se occasionata da episodi contingenti, la lite si sviluppa secondo moduli predeterminati e vincolanti; l’interazione che sollecita obbedisce a precise norme culturali che vengono fedelmente eseguite, pur con minime variazioni puntuali; Lillo e Tano Gullo, per esempio, nella loro ricerca su Aliminusa, In Sicilia, hanno messo in luce, fra gli altri tale aspetto. [7]

Poesie di Lillo Gullo modifica

Il disertore modifica

Pensieri di legno modifica

Sfarzo d'inesistenza modifica

Il centro del sempre modifica

Labbreggiature modifica

Cerimonie della calura modifica

Beati. On the road in the room modifica

Lo scialo dei fatti modifica

  • Eccomi a mani alzate: | e non è l'usato tic di chi vince | bensì il limato gesto di altra razza: | di chi da tempo si allena alla resa. (A mani alzate, p. 19)
  • Mani che fasciarono seni | mani che dissero l'addio | mani che scalarono gambe | mani che che solcarono cieli | mani che colsero rose. || Rose diacce di mistral | rose fustigate dal pampero | rose sabbiate dallo scirocco | rose scarmigliate dal libeccio. || Mani innamorate eppure devote | a San Tommaso: perciò per amare | pretendono prima di toccare l'amore. (Mani e rose, p. 54)
  • Manca il pozzo al percorso | e allora si accelera il passo | per godere del fresco al più presto: | sarà il ventaglio di un'onda | oppure l'ombra di un pesco. (Il fresco, p. 29)
  • Mentre mi confida | pensieri vertiginosi | una nuvola nottambula | è spazzata via dalla boria di un vento | che con la scusa di nettare zittisce. (Pensieri di nuvola, p. 30)
  • Un raggio di sole detective | rivela la scomposta dance | del pulviscolo atmosferico, | tentacolare creatura | che in controluce sillaba | la recita dell'esistenza. (Dance, 31)
  • Brezze di menta pizzicano | platani in figura di polene | mentre carote come triglie | abboccano all'amo delle mani. || Nel campo di mare | onde rapprese in solchi | a luglio schiumeranno | pennacchi di spighe d'oro. (Campo di mare, 45)
  • Capita talora di notare | la reptazione sghemba di un lombrico | o l'inettezza di una formica | a trainare un grano di tormentone. || E sono forse inesplorati indizi | di infermità impensabili per noi | che l'infimo immaginiamo | vivo o morto e mai malandato. (Formiche malandate, p. 46)
  • Appassiti ormai i giorni del colle | cinto da uno scialle di cirri, | oggi impera Febo e drappeggia | le strade che arano il pensdìo | con draghi che sputano vampe. || Solo in casa il riparo è possibile: | e perciò ciascuno declama il copione | al cospetto di una platea di pareti. | Il mio: ancorato ad un gambo di rosa, | fluttuare indeciso tra il cercarti e l'attesa. (Il copione, p. 51)
  • Poi al primo fiorire dell'erba spada | i campi si atteggiavano ad arena | per giumenti in fuga d'amore | e villani valenti nel lancio del laccio. (da Enigmi di muli, p. 56)
  • Vento con l'occhio lungo | e il fiato di zagara | e una coda inaudita | vento quassabondo | che sgrazi le vele | e rabbuffi le rose | vento mai sazio di foglie cricchianti | e di ombrelli e cappelli | vento libertario | che beffi confini | e ingarbugli bandiere: | presto, entra a casa mia | e, se trovi un fosco cuore, insuffla due grani di allegria. (La coda del vento, p. 60)
  • È maggio, vanto di Maria, | e nella pece che abbonda | di lutti e di ombra | penitenti a piedi scalzi | innalzano salmi | per perorare sottovoce | favori e grazie innominabili. (da Dicerie di maggio, p. 61)
  • Arrivarono all'improvviso | annunciati da nitriti | e comprarono lecconerie | profumi ed a riballi. || Mangiarono – i bordonari – | incollati all'arcione: | un occhio alle mule | l'altro alle some. || Mirando le orbite | torpide degli assilli | fumarono trinciato forte | e ancora bevvero vino. || Ad un cenno del capobastone | si diressero infine alle alture | lasciandosi dietro | solo polvere e congetture. (L'improvvisata, p. 62)
  • Che formicolio di granaglie | sulla pancia del feudo | già arena di erranza | per ciclopi e cavalcanti! || E svelte transitano le nubi | per non accecare il pupazzo | che imbroglia i fili | dello scialo dei fatti. || Sicché: il bacio degli amanti | ha il tempo lento | della pigra eternità | di un piccolo mare. || E mentre i tetti morti cullano | il dormiveglia di colline di pane | il più intonato canto dell'esistere | è un capitombolo al tramonto. (Il feudo dei ciclopi, p. 64)
  • Sulle tracce di parole in quiescenza | tra damaschi di ameni lemmari | per capacitarle ad una corrusca risorgendo | con cimieri sopra sguardi fieri. || Che ricanti l'arzigogolo e lo sfarzo: | oricalchi per la pompa di un bando | un vulcano che erutta broccati | era zoppo e op là un montambanco. || E ancora: il ronzino promosso corsiero | il cuscino suona meglio origliare | i conquassi addobbati con rose... | e all'altare: tanti putti per un Miserere. !! Torneamenti per un bacio a cavallo | tra la bella damigella e l'invitto paladino | e in fine: spaventanti per la Reina al castello | con vampe di draghi e lo zolfo di un Farfarello. (Palco di carta, p. 65)
  • La mano, questo angelo custode | che ci segue ovunque, | questa nobile carne che l'accattone | degrada a cassetta dell'elemosina. || La mano, questo balcone | spalancato sull'infinito, | questo pendaglio incerto | tra la spada e la rosa. || La mano, questa mano, | quando giunge l'ora | del banchetto sul letto | si rivela pure magnanima amante. || Le amorose portate | con gli occhi divide | e con la bocca regale e persino | con un plebeo commensale. (Mano dell'infinito, p. 67)

Note modifica

  1. citato in Giovanni Tesio, Lillo Gullo, Elogio della stasi e della lentezza, sull’inerzia, La Stampa-tuttoLibri, 10 settembre 2005
  2. citato in Salvatore Ferlita, Il ritorno della poesia, ecco i big e gli emergenti, La Repubblica di Palermo, 20 gennaio 2009
  3. citato in Enrico Grandesso, Il Mediterraneo cantato da Lillo Gullo miniaturista, Avvenire, 18 luglio 2008
  4. citato in Giampiero Cinque, rubrica Novità in libreria, Giornale di Sicilia, 22 marzo 2008
  5. citato in Renzo M. Grosselli, Siculo, remoto, caldo Gullo, l’Adige, 20 giugno 2007
  6. citato in Luigi Maria Lombardi Satriani, Nel labirinto. Itinerari metropolitani, Meltemi Editore, 1997
  7. Luigi Maria Lombardi Satriani, Il sogno di uno spazio, Rubbettino, 2004