Marcelo Figueras (1962 – vivente), scrittore, sceneggiatore e giornalista argentino.

  • Le differenze non mi preoccupano. Ci sono abituato. Significano che sto vedendo qualcosa che prima non avevo visto; significano che non sono esattamente quello che ero l'ultima volta che ho ricordato. Il tempo è strano. Questo è ovvio. Spesso penso che accada tutto insieme, e questo non è per niente ovvio ed è ancora più strano. Quelli che si vantano di vivere solo il presente mi fanno un po' pena, come quelli che entrano al cinema a film già iniziato o bevono solo Coca light: si perdono il meglio. Io credo che il tempo funzioni come la sintonia di una radio. Al grosso della gente piace scegliere una stazione e vuole sentirla nitida e senza interferenze. Ma questo non implica che uno non possa mescolare due o più stazioni; non implica che la sincronia sia impossibile. Fino a non molto tempo fa si riteneva impossibile che tra due atomi potesse esserci un universo, e invece c'è. Perché scartare l'idea che alla radio del tempo sia possibile ascoltare in simultanea la storia dell'umanità? La vita quotidiana ci fornisce intuizioni sull'argomento. Sentiamo che coesistono dentro di noi tutti quei noi che siamo stati (che saremo?). Conserviamo l'essenziale di quel bambino innocente ed egoista e siamo al tempo stesso il giovane sensuale e generoso ai limiti dell'incoscienza, e anche quell'adulto con i piedi per terra che non dimentica i propri sogni e infine il vecchio che nell'oro vede solo un metallo: ha perso la vista per guadagnare in visione. Quando ricordo, la mia voce suona a tratti come se avessi di nuovo dieci anni e a volte suona come dall'alto dei settanta che non ho raggiunto; suona anche come suona oggi, all'età che ho... o credo di avere. I me che sono stato, sono e sarò dialogano costantemente tra loro, modificandosi l'un l'altro. Che il mio passato e il mio presente si alleino per definire il mio futuro sembra una verità elementare, ma sospetto che il mio futuro e il mio presente siano capaci di fare lo stesso con il mio passato. Ogni volta che ricordo, colui che sono stato recita le sue battute ed esegue le sue azioni con eleganza crescente, come se a ogni nuovo tentativo capisse sempre meglio il personaggio.[1]
  • In principio, le parole servivano a dare un nome a ciò che già esisteva. Madre. Padre. Acqua. Freddo. In quasi tutte le lingue, le parole che definiscono certe realtà elementari si assomigliano o risuonano della stessa musica. Madre è 'ummm in arabo, Mutter in tedesco, mat in russo. (Tutta la terra è terra allo stesso modo). Invece le parole che danno un nome a esperienze altrettanto umane come la paura non hanno affatto lo stesso suono: paura non assomiglia all'inglese fear né al portoghese medo. Mi piace pensare che ci assomigliamo più nelle esperienze positive che in quelle negative, e che di conseguenza sia più forte ciò che ci unisce da ciò che ci separa.[2]
Marcelo Figueras

Note modifica

  1. Da Kamchatka, L'asino d'oro editore, Roma, 2003, cap. 1, pp. 14-15.
  2. Da Kamchatka, L'asino d'oro editore, Roma, 2003, cap. 42, p. 167.

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