Francesco Merlo

giornalista e scrittore italiano

Francesco Merlo (1951 – vivente), giornalista italiano.

Citazioni di Francesco Merlo modifica

  • Donna pratica e concreta, Marta [Abba] non fu mai la diva moderna e carnale o una di quelle futuriste che già promuovevano il diritto all'orgasmo e che aveva conosciuto da ragazza. Anzi, più il Maestro [Pirandello] si rivoltava in quel suo "petrarchismo", più egli subiva ed esibiva i turbamenti del corpo frustrato, l'insubordinazione del desiderio, la fame di lei, e meno Marta gli dava retta. Più la sua passione diventava affettata e teatrale e più lei diffidava e si allontanava, più lui si disperava più lei capiva che dietro tutte quelle parole Pirandello non amava nessuno, cercava il rapporto di testa con se stesso e mai con una donna vera.[1]

  Citazioni in ordine temporale.

  • Strano destino, questo dell'Ulivo e di Veltroni soffocato dall'amore dei suoi chierici. Fa venire in mente la recentissima sentenza della Cassazione che punisce, giustamente, la violenza sui bambini come metodo educativo. Ma quale Cassazione protegge i bambini italiani dal nostro vero male nazionale, gli abbracci e le carezze delle mamme e dei parenti? Chi difende i nostri bimbi dai baci delle zie? E chi proteggerà Veltroni dall'amore dei Baricco? Giovane, paffuto, riccioluto, amabile, creativo, Baricco è infatti più veltroniano di Veltroni [...].[2]
  • [In riferimento alla partecipazione di Coscioni al programma televisivo Tribuna politica, Rai 1] Solo i telespettatori capivano che lì il problema politico era Coscioni e soltanto Coscioni. E che si poteva persino denunciare come uno scandalo la sua presenza nella politica della tv, come il più raffinato espediente della demagogia. Oppure si poteva solidarizzare con lui, ma certo non lo si poteva ignorare senza mai mettersi (salire) al suo livello, in ossequio alla scaletta della trasmissione. Nessuno rispondeva a quest'uomo elettronico che accusava tutti di omissione di intelligenza, ancor prima che di soccorso. C'era un lucido malato che segnalava l'opportunità di curare i malati con le cellule staminali e con gli embrioni, e gli si rispondeva chiacchierando di futilità politiche, cioè di capitalismo e di massimi sistemi.[3]
  • La Juve infatti è la città di Torino, è la famiglia Agnelli, è il genio italiano che impediva al capitalismo più ricco e potente di diventare arrogante e meschino, è il campione fuori dagli schemi, è la valorizzazione di tutto ciò che non è scontato, è la distrazione colta e di talento, è l'unità d'Italia, sono gli emigranti meridionali che solo il pallone rendeva aggraziati e ben fatti, goffi nella vita ma bellissimi in campo, uomini generosi che per conquistarsi il diritto di esserci carezzavano la palla e usavano i piedi come due mani di pianista.[4]
  • Ecco: il successo dell'approssimativa spedizione dei Mille promuove al rango di progetto politico (garibaldino) qualsiasi colpo di mano, anche il più disturbato e il più astruso. Si dice "non fare il garibaldino" per invitare alla ragione, alla calma, alla compostezza, a non prendere le cose di irruenza, di petto, a non votarle al fallimento. Il modello garibaldino è: "ora ci penso io". Ed è un mito ovviamente ottocentesco, anche perché nel nostro Novecento non ci sono padri della patria.[5]
  • Ecco perché stanno arrivando in libreria mille saggi sui Mille. Con accanimento ci si confronta sulle origini della camicia rossa: una svendita di grembiuli di macellaio o l'invenzione del pittore Gallino?[5]
  • Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento?[6]
  • E nei luoghi apparentemente più deserti di cultura, come le curve degli stadi, ci sono i migliori matematici d'Italia, che riescono a stabilire, già all'inizio del campionato, i punti necessari (non uno in più, non uno in meno) alla squadra del cuore per salvarsi o per vincere lo scudetto o per entrare in coppa Uefa. E sono padri di famiglia, abituati a calcolare il costo delle ferie, il tasso d'interesse, il piccolo prestito, il mutuo, le rate, i conti correnti, qualche volta il rendimento delle azioni, ma anche la velocità dell'auto, il consumo della benzina, la spesa, il resto da dare e quello da avere, e poi ci sono il bingo e le scommesse, le classifiche, la Formula uno. Tutti sappiamo che far quadrare i conti è un perfidia di Dio, o se preferite è Dio nella sua versione più perfida, quella del matematico appunto.[7]
  • Fortebraccio è l'archetipo dei giornalisti italiani smodati e faziosi, fonti che traboccano e non cisterne che contengono, una sola energia con mille biforcazioni. Non è infatti vero che Fortebraccio non abbia eredi. Come non c'è pittore che usando il giallo non sia, quasi sempre inconsapevolmente, allievo – e spesso cattivo allievo – di Van Gogh, così nel giornalismo italiano non ci son faziosi che non siano allievi, discendenti, figli o nipoti di Fortebraccio. E voglio dire che sono fortebracciani, sia pure falliti, anche i molti faziosi senza talento. E nel giornalismo italiano c'è – temo – più faziosità che talento.[8]
  • Non c'è persona per bene che non pensi che il Sud sia violento, imprevedibile, inaffidabile, sprecone, confusionario, corrotto, mafioso, camorristico. E quindi non c'è persona che non pensi che aiutare il Sud possa risultare pericoloso, fortemente pericoloso. Ecco, la solidarietà razzista che è un ossimoro. Questo modo di pensare da cui nasce e di cui si nutre il giudizio bestione della Lega. Ecco, io lo domando: è un giudizio o è un pregiudizio?"[9]
  • Anche la casta a Palermo diventa pittoresca e tragica, la "casta con le sarde", supercasta speciale come lo Statuto che andrebbe finalmente cancellato – se non ora quando? – da un governo che fosse davvero antisprechi. È infatti lo Statuto, solo lo Statuto, che ha trasformato il deputato regionale in un grassatore, in un mediatore, in un Batman con i mustazzi unti di "stigghiola".Esistono Regioni d'Italia in cui lo Statuto speciale è virtuoso o magari soltanto utile e storicamente giustificato, ma sicuramente in Sicilia l'autonomia deve essere abolita per bancarotta economica, politica e morale. E bisogna cancellarla dalla Costituzione, come atto d'amore verso una terra meravigliosa, e liberare i siciliani da un baronaggio feudale che dissipa il più grande tesoro del Mediterraneo e non parlo solo del buco di 5,3 miliardi e delle spese che nel 2012 supereranno i 27 miliardi.[10]
  • [Sul reato di diffamazione] Da tutti i siti potranno essere cancellati, a semplice richiesta del presunto diffamato, senza cioè sentenza, articoli e dati personali. Non ditemi che esagero: è come Fahrenheit. Anziché bruciare i libri cancellano le parole, è una forma sofisticata di rogo di scrittura, e anche di memoria, di storia, sono buchi negli archivi. Immaginate che anziché in un archivio di Internet entrassero in un'emeroteca per bruciare i microfilm.[11]
  • Travaglio è il capolavoro di Santoro, televisivamente inventato da lui come Sgarbi fu inventato da Maurizio Costanzo, come Lorella Cuccarini da Pippo Baudo. E ha funzionato benissimo finché Santoro lo ha diretto nel ruolo di attor giovane, gli ha permesso di leggere la sua pungente letterina senza contraddittorio, senza esporlo mai, senza risposte da dare e senza domande da fare, e infatti non ne fece neppure a Berlusconi quando finalmente se lo trovò davanti. Chiuso e dunque protetto nel recinto del monologo sprezzante, Travaglio era il momento militare, l'esibizione per sadici in panciolle del campione di batteria, un grande spettacolo di ferocia "il cui core business", gli disse Berlusconi, "sono io", non corrida ma rodeo, il combattimento del Selvaggio West ma sotto il tendone da circo. Ogni tanto il padre padrone Santoro gli muoveva qualche dolce rimprovero paterno, "buono, stai buono", che era anche il segnale del viatico dal padrino al figlioccio, dal professore all'allievo, dal vecchio al giovane, dall'uomo al cucciolo. Come sappiamo, quella narrazione e quell'epica sono finite. E senza più il nemico – dicono gli esperti – sta morendo il talk show come spettacolo.[12]
  • Tutti parlano della matematica eccetera, che certo è importantissima, per carità, però è come se la matematica fosse il punto centrale di tutto. "Ah, guardate in matematica gli asiatici, eccetera, gli indiani!", beh, non mi pare che l'India sia il primo paese del mondo. Se davvero la matematica fosse così importante tutti questi geni indiani avrebbero portato... "E poi perché gli italiani non amano la matematica?", beh, anche questa è una cosa... Forse perché ce n'è troppa: il numero di telefono, i numeri, il bancomat, il... Persino questa si chiama Radio tre, pensi, cioè già devo pensare al numero per identificarla. E il quando premo un tasto per cercare un disco in macchina è sempre con un numero.[13]
  • L’integrazione di Baglioni è tutti a cantare a Lampedusa, Checkpoint Charlie dell’immigrazione africana in Europa. Per ben dodici anni, prologo di Sanremo, vi ha organizzato un festival della canzonetta chiamato in lampedusano O’ Scià che significa fiato mio. La canzonetta, quando ha il successo di Baglioni, sembra niente ma è tutto, come il fiato e come la malinconia che commuove i più duri. È il fischiettare del solitario ma è anche la civiltà del coro, del popolo senza populismo, è la colonna sonora della democrazia.[14]
  • Montalbano trova con facilità gli scafisti che a bordo hanno stuprato una bambina semplicemente perché li cerca. Indaga sui delitti veri invece di mettere sotto inchiesta i bagni di bordo, di cercare i terroristi dell'Isis, di andare a caccia di untori, contestare le bandiere delle Ong, promettere le manette ai naufraghi considerati clandestini, vale a dire penalmente responsabili della propria miseria.[15]
  • Radio Radicale, che è per statuto un servizio pubblico, senza pubblicità, senza guadagni e, virtuosamente, senza passivi, è da un lato il microfono aperto dentro le istituzioni, con le dirette dalla Camera e dal Senato, dai congressi di partito, dalle aule di giustizia. Dall’altro lato è la radio dei radicali, da Salvemini a Pasolini, da Ernesto Rossi a Leonardo Sciascia, da Domenico Modugno a Vasco Rossi, da Umberto Veronesi a Franco Battiato, ai suoi direttori, da Lino Jannuzzi a Massimo Bordin e ad Alessio Falconio: è "il ragionevole sregolamento di tutti i sensi" come recita il verso di Rimbaud che Pannella scelse per manifesto politico.[16]
  • Come nel romanzo di Ray Bradbury Fahrenheit 451, dove la memoria è custodita da uomini miti ma ribelli che imparano appunto a memoria i libri che il Potere ha bruciato, la commissione Segre custodirà la memoria dei campi di concentramento, del fascismo e del nazismo, della Shoah, dell’orrore «perché, la memoria rende liberi».[17]
  • Non è fascista, ma con la fascisteria ha il doppio problema che aveva il Msi: se li condanna li perde, se non li condanna si perde. Ecco il punto: Meloni è missina e ha come mito gli anni settanta, quelli del terrorismo e dei picchiatori. Ne custodisce la fiamma e “il patrimonio valoriale che è stata la nostra giovinezza”. Ha riaperto la sede di via della Scrofa e occupa la stanza di Almirante, “il grande uomo” che celebra ogni 22 maggio. Lo spaccia per campione della democrazia con incendi emotivi che presto vorrebbe trasformare in cerimonie di riabilitazione nazionale e europea, eleggendolo a Padre della destra sovranista e razzista, dall’Ungheria alla Polonia… all’Italia.[18]

Da I quaquaraquà e il sessantotto in Sicilia

Prefazione a Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia

  • Bellodi non è, come spesso si dice in letteratura, un personaggio realmente esistito, ma è una folla di personaggi che realmente esisteranno, non è ispirato ma ispiratore, è tutti gli eroi antimafia che l'Italia ha conosciuto, come Renzo è tutti i promessi sposi, Ulisse è tutti i vagabondi, Pinocchio è tutti i bambini del mondo. (p. 8)
  • Libro audace e radicale, di cultura impetuosa e vibrante nella Sicilia criminale e indolente di quegli anni e dei successivi – i Sessanta e i Settanta –, Il giorno della civetta è stato il Sessantotto, quel che di Sessantotto poteva esserci in Sicilia, il sessantotto siciliano che ha cambiato il mondo. (p. 8)
  • Eppure chi non ha letto Il giorno della civetta – ma chi non l'ha letto? – scoprirà di conoscere anche i dettagli, di averlo già tutto dentro la testa, di abitare in un'Italia che da questo libro è stata arredata e che senza questo libro non esisterebbe. E gli sembrerà persino di averlo già letto in molti altri libri che ha letto, e magari pure in troppi. (p. 11)

Note modifica

  1. Da Abba Marta, in AA.VV., Italiane. Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950), www.150anni.it
  2. Da Baricco scrittore zelante, Corriere della Sera, 23 maggio 1996.
  3. Da Ciampi e la sete di Emma, Corriere della Sera, 27 aprile 2001.
  4. Da La Juve restituisca lo scudetto, Repubblica.it, 16 maggio 2006.
  5. a b Da L'Italia che si appropria delle sue grandi gesta, la Repubblica, 22 giugno 2007.
  6. Da Montanelli tradito dalla statua, la Repubblica, 30 maggio 2006.
  7. Da Ma siamo un popolo di calcolatori, la Repubblica, 3 agosto 2007.
  8. Citato in Fortebraccio. Facce da Schiaffi, a cura di Filippo Maria Battaglia e Beppe Benvenuto, BUR, 2009, p. 259. ISBN 8817035742
  9. Da La fotografia: Da Genova a Messina, le differenze di un'Italia flagellata (2:54), Repubblica.it, 23 novembre 2011.
  10. Da Ruberie, sprechi e baronaggio feudale, ecco perché lo statuto speciale va abolito, Repubblica.it, 6 ottobre 2012.
  11. Da Fermiamo la legge bavaglio, Repubblica.it, 24 ottobre 2012.
  12. Da Travaglio in fuga dalla piazza tv, la Repubblica, 18 ottobre 2014.
  13. Dalla trasmissione radiofonica Prima Pagina, Radio3, 27 settembre 2015.
  14. Da Baglioni e Sanremo, la minaccia sale sul palco, Rep.repubblica.it, 10 gennaio 2019.
  15. Da Montalbano buonista batte Salvini, Rep.repubblica.it, 12 febbraio 2019.
  16. Da Caro Conte salvi Radio Radicale, la Repubblica, 17 aprile 2019, p. 28.
  17. Da La commissione Segre e gli antisemiti nascosti, la Repubblica, 5 novembre 2019, p.34.
  18. Da Meloni,il vittimismo aggressivo. Attenti al razzismo gentile di Giorgia, la repubblica, 29 luglio 2022, p.27.

Bibliografia modifica

  • Francesco Merlo, I quaquaraquà e il sessantotto in Sicilia in Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Milano, Adelphi, 2002. ISBN 9788845916755

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