Cesare Festa (1880 – 1943), militare, avvocato e scrittore italiano.

Citazioni di Cesare Festa modifica

  • Festa: Vuoi che lo dica al Re?
    Ansaldo: E perché lo diresti al Re?
    Festa: Per far archiviare il procedimento. Tu lo sai benissimo, che in processi del genere, in base a un certo articolo del Codice Penale, che mi pare l'articolo 127, occorre l'autorizzazione del Ministero di Grazia e Giustizia; la quale naturalmente non è data se il Re, o Casa reale, fanno sapere che il processo non è gradito. Quindi il Re può sempre intervenire. Se vuoi, io glirlo dico. Egli è mio amico. E tutto è finito.[1]
  • Allora, cavai di tasca, ancora, il numero di Rivoluzione Liberale. Gli dissi: Maestà, qui c'è un articolo che è stato incriminato per offese alla Vostra Persona. Ma chi lo ha scritto [Giovanni Ansaldo] è un giovane di principi monarchici. Anzi: tutto l'articolo è il grido di un monarchico deluso. Secondo me, il processo non si dovrebbe celebrare. Il Re prese il numero di Rivoluzione Liberale, diede un'occhiata qua e là, e mi disse: Ha ragione lei, Maggiore. Poi chiamò Mattioli, e gli diede gli ordini relativi, da trasmettere a Torino. E così è finita. Il processo non si farà.[1]
  • [ a Vittorio Emanuele III] Gli dissi a voce forte e chiara il mio nome. Si accorse subito che ero piemontese; e mi rivolse la parola in dialetto. Mi domandò di che classe ero. Mi domandò che cosa facevo da borghese. Mi domandò che cosa era stato mio padre. Mi domandò se avevo parenti ufficiali effettivi. Mi domandò se mi intendevo di mitragliatrici. Mi domandò altre cose. E poi mi congedò.[1]
  • Dopo mezzogiorno, il Re volle dirigersi sulla strada di Cividale, e passò il ponte sul Torre. La grande strada era già invasa dai fuggiaschi provenienti da Valle Uccea; e con brutte facce. A Nimis, il Re con il suo poco seguito sostò in una villa, o casa padronale che fosse, su un poggetto, vicino alla strada. Io misi in postazione le mie armi e i miei uomini. Dal poggetto si vedeva benissimo passare sulla strada gente sempre più sbandata e atterrita. Era lo spappolamento sella Seconda Armata; ormai lo si vedeva già in pieno.[1]
  • Eravamo soli. Ed ecco una cosa che non mi aspettavo: il Re che si mette a piangere. Sì, proprio: la testa diritta, immobile; e grosse lacrime giù per le guance, già un po' incartapecorite. Allora caro mio: io sono di Montiglio, io sono del Monferrato, io sono piemontese; io capii che cosa dovevo dire al Re, che mi aveva parlato nel nostro dialetto.[1]

Citazioni su Cesare Festa modifica

  • Nel tumultuoso, sgangherato, e fervente primo dopoguerra, ebbe molta notorietà a Genova; e fu conosciuto anche un po' in tutta l'Italia, il maggiore Cesare Festa. (Giovanni Ansaldo)
  • Stando così, e stando quindi piuttosto male, le cose, una mattina di agosto mi imbattei a Genova nel Festa, il quale abitando a Passo Caffaro, se ne veniva per la salita di San Gerolamo, premuroso (come seppi dopo) di portare in tipografia le bozze di una traduzione (di seconda mano) del Mahavagga, che egli voleva fare stampare a sue spese, per giovare al miglioramento dei suoi simili con la dottrina buddistica espressa nel suo fiore. (Giovanni Ansaldo)
  • E rivedendo con gli occhi della mente, il maggiore Festa piccolo, tozzo, barbuto, quasi mi convinco ch'egli è stato davvero l'unico amico che ebbe il Re Vittorio Emanuele; l'amico che nella grande crisi del 1917 lo vide piangere e seppe consolarlo e fargli animo, con i vecchi argomenti della fedeltà subalpina. E, di fantasticheria in fantasticheria, arrivo ad immaginare che Vittorio Emanuele III deve avere mandato a cercare, questo suo amico, alla vigilia del 25 luglio. Ma inutilmente, perché il maggiore Cesare Festa proprio quel giorno moriva, lassù tra i colli del Monferrato. (Giovanni Ansaldo)

Note modifica

  1. a b c d e Citato in Giovanni Ansaldo, Il bizzarro amico del re, Storia Illustrata, Anno II N. 1, gennaio 1958, Arnoldo Mondadori Editore.