Carlo Mascaretti

giornalista, scrittore e bibliotecario italiano

Carlo Mascaretti, meglio noto con lo pseudonimo anagrammato di Americo Scarlatti o con quello di Neo Ginesio (1855 – 1928), bibliotecario, scrittore e giornalista italiano.

Et ab hic et ab hoc modifica

VI. Curiosità storiche modifica

  • Anche le parrucche furono oggetto di avidità fiscale. Nel 1715 il Duca di Parma, Francesco Maria Farnese, per estinguere un proprio debito impose ai suoi sudditi il balzello di una doppia «per ogni parrucca». Le parrucche erano portate allora soltanto dagli uomini, ma quel sovrano, per essere imparziale, pose lo stesso balzello anche alle donne, facendo loro parimenti pagare una doppia... per ogni cuffia! (cap. IV, p. 80)
  • Gli autori latini che si sono occupati delle particolarità della toilette femminile ai tempi di Agrippina e di Poppea ci dicono che le dame romane, dopo essersi puliti i denti con polvere finissima di marmo, passavano tra le gengive una punta di porcospino, e il dentiscalpio di porcospino non mancava mai nella scatola di profumi accanto alla pietra pomice che serviva a togliere la pelurie delle braccia e delle spalle, alla pinzetta d'oro con cui strappavansi i peli indiscreti del viso, alle diverse essenze e alle molte pomate che tenevano il posto dell'attuale cold-cream; poiché è noto che, in fatto di ricercatezza e di eleganza, le signore romane potevano dare dei punti alle odierne. (cap. VI, p. 114)
  • L'uso dello spazzolino da denti data soltanto dalla fine del Settecento, cosicché per tutto il medio evo, e per qualche secolo ancora, il dentiscalpio è stato il solo strumento usato per conservare la sanità e la bellezza dei denti. Il grande Erasmo raccomandava di pulire i denti dopo il pasto con un adatto pezzettino di legno, o con quel piccolo osso puntuto che si estrae dallo sperone dei galli, ma non mai col coltello, né con le unghie, come i cani (sic), e nemmeno col tovagliolo. E aggiunge anche che bisogna bensì tenere ben puliti i denti, ma quanto a renderli bianchi con delle polveri, è un uso da lasciare alle donne… non serie; strofinarli con sale o allume è dannoso alle gengive; e servirsi poi allo stesso scopo della propria orina, lo fanno bensì gli Spagnoli, ma non è cosa da imitare! (cap. VI, p. 117)
  • [...] Sisto V, il quale non sapendo che cosa porre nel proprio stemma, vi aveva fatto mettere tre pere, frutto di cui egli era assai ghiotto, quando cominciò a sentire che la sua fine si avvicinava, vedendo che il cardinale Castagna aveva molta probabilità di succedergli, come infatti gli successe[1], soleva con scherzosa malinconia ripetere: Le pere sono infracidite e stanno per cadere; viene il tempo delle castagne! (cap. XIV, p. 275)

VIII. Mondo femminile ignoto modifica

  • [...] non soltanto [Maria Drago] seppe intuire la vocazione del figlio suo, ma comprese che, ben più di una semplice vocazione, si trattava addirittura di un'alta missione a lui affidata dalla Divina Provvidenza. Per potergli inviare nel suo esilio notizie, giornali, libri, essa giunse a formarsi una coltura non comune, specialmente d'indole politica, e in tutto ciò che fece per aiutare il figlio, anche nelle più piccole cose, dovette sempre lottare contro il marito! Quanto dolorosa deve essere stata per essa quella continua lotta può immaginare soltanto chi conosce quale avversario energico e irreducibile Mazzini ebbe alla sua «missione» nel proprio padre [...]. (cap. I, p. 20)
  • Come dubitare che il merito della grandiosa opera mazziniana non spetti in grandissima parte a Maria Drago, a questa donna di cui persino il nome è ai più ignoto, ma che giunse ad avere sul suo Peppo tanta influenza da fare scrivere al Luzio[2] che, se essa fosse stata ancora vivente, Mazzini «non si sarebbe avventurato né alle sommosse milanesi del 1853, né al complotto genovese del 1857». (cap. I, p. 21)
  • [Maria Drago] A delineare la grandezza di questa donna veramente sublime basterebbe il seguente fatto. Dopo lunghi anni di angosciosa e vana attesa del figlio esule, le fu fatto sapere che avrebbe potuto avere la gioia di riabbracciarlo purché essa avesse chiesto per lui l'amnistia. Ebbe la forza di rifiutare, rispondendo che se adorava il suo Peppo come figlio, ancor più lo stimava come uomo, e perciò non avrebbe fatto cosa che egli non poteva approvare! (cap. I, pp. 21-22)
  • [Elizabeth Barrett Browning] Morì in una specie di estasi poetica tra le braccia del marito [il poeta Robert Browning] rivolgendogli parole d'amore con un sorriso simile a quello d'una bambina, e l'ultima sua frase fu: «È bello! (it is beautiful!) » e spirò [...]. (cap. II, p. 49)
  • Con non minore effusione di sentimenti poetici [di Elizabeth Barrett] seppe esprimere l'intensità dell'amore coniugale una eccellente nostra poetessa: Vittoria Aganoor Pompilj, i cui versi intitolati: «Al marito» sono quanto di meglio abbia prodotto su tale argomento la dolce poesia, quella che proviene dal cuore. Si può anzi dire che i detti versi dell'Aganoor siano una mirabile sintesi della missione che viene adempiuta su questa terra dalle mogli ideali. (cap. II, p. 50)
  • L'alta poesia che è insita in tale nobilissima passione [l'amore coniugale], anche se non espressa con l'arte del verso, si rivela altresì in donne che in apparenza non conoscono della vita altro che la prosa. La moglie di Pasteur [Marie Curie] non fu soltanto la compagna devota dell'illustre scienziato, ma fu sua appassionata collaboratrice specialmente nelle ricerche sopra una puzzolentissima malattia del baco da seta. (cap. II, p. 50)
  • [...] la signora Anna Celli, in ancora giovane età rimasta vedova del compianto professore Angelo Celli[3], che tanto illustrò il proprio nome con i suoi studi sulla malaria, sta tuttora erigendo un vero monumento di devozione coniugale nella Storia generale della malaria che suo marito si era proposto di compilare, ma della quale, a cagione della sua morte, non lasciò che una vasta mole di note e di appunti. Con questo solo materiale, ma con meravigliosa tenacia e abnegazione, la detta vedova si propose di condurre essa a termine l'opera poderosa a cui il perduto consorte si era dedicato con tanta passione [...]. (cap. II, p. 51)

IX. Le malattie del linguaggio modifica

  • Una volta, in un salotto parigino, il poeta francese Onorato Racan, il quale, pur essendo affetto da balbuzie aveva la manìa di leggere ad alta voce, leggendo un brano di Montaigne s'imbatté nella seguente frase: Comme les pleurs des femmes sont d'ordinaire artificiels et cérimonieux, il ne faut pus s'y opposer; c'est les exposer à faire pis. Arrivato a questa ultima sillaba la sua lingua s'impuntò, ma una volta preso da slancio dopo il verbo faire, pronunciò energicamente due volte la parola pis. Una signora presente a quella lettura non seppe trattenere le risa a tale punto che proprio le capitò di fare ciò che Racan, leggendo Montaigne a modo suo, aveva detto capitare alle donne quando si vuol loro impedire di piangere! (cap. I, pp. 2-3)
  • Il più illustre fra i grandi personaggi balbuzienti è senza dubbio Mosè, e chi di ciò fosse stato ignaro troverà certamente assai strano che quel grande profeta e apostolo del Signore incaricato di andare a persuadere con belle parole Faraone a lasciar libero Israele, dovesse essere balbuziente! Eppure questo grave difetto della sua loquela ci è attestato dalla Bibbia, nei capitoli IV e VI dell'Esodo, dove tra le altre cose lo stesso Mosè spiega la propria balbuzie dicendo: «Io sono incirconciso nelle labbra». (cap. II, p. 11)
  • La lingua dei Romani, come quella dei moderni Giapponesi, non conosceva bestemmie, e Giovanni Raiberti, nel suo umoristico Viaggio di un ignorante, facilmente riusciva a dimostrare impossibile il tradurre in latino quella buona filza di bestemmie che, urgendogli il bisogno di sacramentare, poteva tirar fuori dal caro dialetto natio, il milanese; e concludeva compiangendo i nostri poveri ragazzi condannati a studiare per otto anni «una lingua che non è buona nemmeno per bestemmiare, quantunque adattissima per provocare le bestemmie». (cap. XI, p. 107)
  • Una volta al celebre attore drammatico Eugenio Scribe giunse una lettera di un tale che gli offriva un forte lucro finanziario se avesse acconsentito a unire i loro due nomi in una produzione teatrale. Si trattava insomma di un vanitoso disposto a pagargli lautamente l'onore di esser creduto suo collaboratore.
    Scribe, invece di limitarsi a rifiutare l'offerta, sentendosi offeso dalla proposta, rispose: «Non ho l'abitudine di attaccare al mio carro un asino insieme con un cavallo!».
    Con questa risposta «pepata» [...] il celebre commediografo riteneva di essersi liberato dall'importuno, ma rimase assai male al ricevere dal medesimo questa seconda lettera: «Padronissimo di mal comprendere i vostri interessi rifiutando di unire i nostri destini letterari, ma ciò non vi consente il diritto di darmi... del cavallo!».
    Chi restava quindi... l'asino? (cap. XIV, pp. 141-142)
  • [...] i deputati dovrebbero sempre ricordare l'impressione profonda che produsse nella Camera francese la calma urbanità, piena al tempo stesso di fierezza, con cui il Falloux incominciò un suo famoso discorso in risposta ai violenti attacchi personali di cui lo aveva fatto segno Giulio Favre: «Le ingiurie », egli disse, « seguono le leggi della gravità: non hanno peso se non per l’altezza dalla quale cadono». (cap. XIV, p. 143)

X. Nomi, cognomi e soprannomi modifica

  • Severoli, generale italiano [...] al servizio di Napoleone, venne soprannominato il Generale Crivello, perché ogni volta che andava al fuoco rimaneva ferito, cosicché la pelle del suo corpo somigliava appunto a un crivello, tante erano le ferite da lui riportate. (cap. XV, p. 173)
  • Il maresciallo Marmont, per la sua vergognosa defezione durante la prima Restaurazione, fu soprannominato dai soldati Le maréchal Judas. (cap. XV, p. 173)
  • [...] fra i soprannomi dei guerrieri napoleonici non mancano quelli dettati dal gusto essenzialmente francese dei calembours. Così il maresciallo Victor il quale, fin da quando era semplice soldato, per la sua brillante eleganza aveva avuto dai commilitoni il soprannome di Beau-Soleil, allorché da Napoleone venne insignito del titolo di duca di Belluno fu chiamato Belle-Lune; anzi il barone Alberto Lumbroso, in un suo studio sui marescialli e sui generali napoleonici inserito nei volumi 12 e 14 dell'Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, ritiene che Napoleone fece del Victor un Duc de Bellune appunto perché, dopo esser stato per tanti anni beau soleil, diventasse anche belle lune! (cap. XV, p. 174)

XI. Curiosità bibliografiche modifica

  • Ho sempre pensato, e ho avuto spesso l'occasione di constatare, che per farsi un'idea precisa del carattere e dell'anima di un individuo che non si conosce, nulla havvi di meglio che dare uno sguardo ai pochi o molti libri da esso posseduti. Dimmi ciò che leggi e ti dirò chi sei… E se uno mi viene a dire che dei libri non si cura affatto, e non sa che farsene, e non ne tiene, io rispondo senz'altro con la massima sicurezza che è una bestia, a meno che, caso rarissimo, ma che può qualche volta accadere, egli non sia un santo, poiché se è vero che scopo essenziale della nostra vita terrena è la nostra ascensione intellettuale e il nostro spirituale perfezionamento, essendo i libri principalissimo strumento per potere a ciò riuscire, soltanto i santi possono farne senza, avendo essi scelto per raggiungere lo stesso scopo una via più aspra e difficile, ma forse più sicura. (cap. I, p. 1)
  • [Sui libri di moda] Nel Seicento non avevano delirato gli Italiani per i versi di Serafino l'Aquilano, versi che sembrarono allora tanto sublimi da meritare al poeta il noto epitaffio dettato dall'Accolti e al quale ho altrove accennato? Questo epitaffio, che tuttora si può leggere sulla tomba dell'Aquilano nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, e la cui ridicola esagerazione non scemerebbe neppure sulla tomba di un Dante o di un Omero, merita di essere ricordato:
    Qui giace Serafin: partirti or puoi;
    Sol d'aver visto il sasso che lo serra
    Assai sei debitore agli occhi tuoi.
    È naturale che dinanzi all'epigrafe divenuta col tempo così umoristicamente laudatoria, di quell'obliato poeta dal serafico nome, tratto tratto si oda adesso echeggiare un sonoro canzonatorio: «Ma chi è?». (cap. II, pp. 19-20)
  • […] Edward Clodd nel suo libro Fiabe e Filosofia primitiva (trad. it., Torino, Bocca, 1906) nota […] che tra gli indigeni del Brasile il primo cibo che veniva posto in bocca ai bambini appena slattati era un pezzetto di carne di guerriero; e ricorda che, quando nel 1812 il capitano Wells, celebre tra gli indiani pel suo valore, rimase ucciso in un combattimento contro di essi, avvenuto là dove ora sorge Chicago, il suo corpo venne diviso in vari pezzi che furono equamente distribuiti fra le tribù alleate affinché ognuno potesse avere l'opportunità di gustare tanto valoroso guerriero, assimilando così un pezzettino del suo coraggio! (cap. X, p. 148)

XII. Curiosità artistiche modifica

  • La Basilica di San Pietro, secondo i calcoli di Carlo Fontana[4], ha costato non meno di cinquecento milioni di lire valutate al suo tempo, ma quel che è di peggio si è che la enorme quantità di calce in essa adoperata fu fatta coi marmi tratti dalle rovine dell'antica Roma. Intieri archi di trionfo, come quelli di Augusto e di Tiberio, templi splendidi come quelli della Concordia, gran parte del Settizonio di Settimio Severo, ed altre molte superbe costruzioni e monumenti, che nel Cinquecento e nel Seicento sfidavano le ingiurie del tempo, dovettero per quella Basilica prepotente trasformarsi in calcina nelle numerose fornaci erette allora in Roma a tale scopo, e nelle quali si gettarono frammenti innumerevoli di colonne e di capitelli, di bassorilievi e di fregi magnifici, e di chissà quanti capolavori scultorii che si sarebbero forse potuti ripristinare. (cap. I, p. 4)
  • [...] quanto alla filosofia che riguarda il nudo, Paolina Bonaparte l'ha ristretta tutta in una semplice frase. Ad una sua amica che si meravigliava come essa, sorella dell'imperatore, avesse potuto posare ignuda dinanzi al Canova, il quale, com'è noto, la ritrasse nelle sembianze divine di Venere vincitrice, rispose: – Ma, cara mia, nella stanza avevo fatto accendere il fuoco! – (cap. VII, pp. 93-94)
  • [...] per un periodo di oltre venti anni parve non vi fosse in Italia, all'infuori dell'Illica, alcun poeta capace di comporre un buon libretto per musica, tanta era la smania di averne uno da lui, che aveva invaso tutti i compositori. (cap. XVIII, p. 223)

Note modifica

  1. Giovanni Battista Castagna nel 1590 divenne papa Urbano VII.
  2. Alessandro Luzio (1857-1946), giornalista, storico e archivista italiano.
  3. Angelo Celli (1857-1914), igienista, politico e accademico italiano.
  4. Carlo Fontana (1638-1714), architetto, scultore e ingegnere svizzero, autore di Tempio Vaticano (1694), un compendio illustrato della storia della basilica.

Bibliografia modifica

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